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ASCOLI - Angeli perplessi, dalle ali ripiegate, coronano il percorso espositivo della personale di Silvia Fiorentino, che si inaugura oggi alle 17,30 al Museo dell’Arte ceramica di Ascoli Piceno. “Economia dell’originario” è il titolo della suggestiva mostra, a cura di Stefano Papetti, che si sviluppa tra le sale e il chiostro dell’ex convento della chiesa di San Tommaso.
«Gli angeli sono punto d’arrivo di una mia riflessione, sviluppata durante il lungo periodo della pandemia, sulla fragilità. E sul vuoto, la parte negativa di noi stessi, che tendiamo a rimuovere. Come gli “scarti”, che è un tema su cui lavoro da molti anni. Ho l’impressione che quello che si rimuove, quello che non portiamo alla luce, possa aiutarci a dare un senso alla vita. Mi intriga e mi interessa quello che manca, il non detto».
L’artista, milanese di formazione e di origini anconetane, tornata da tempo a vivere nelle Marche, quel vuoto lo circonda di materia, terracotta invetriata che assume, sotto le sue mani, forme arcaiche e sfrangiate, lamelle e lacerti dai colori screziati, fulgidi e marezzati.
Nella città delle cento torri, il richiamo è suggestivo, come l’uso che la Fiorentino fa della ceramica, uno dei materiali privilegiati dell’artigianato ascolano, che qui è strumento, da secoli, di espressione della creatività. E che ha trovato in Stefano Papetti, conservatore delle collezioni comunali di Ascoli Piceno, un estimatore appassionato, un cultore attento alla promozione della tradizione. Nel Museo dell’Arte ceramica, che dirige, le antiche forme si confrontano con le espressioni più recenti, alla ricerca di una continuità che guarda al futuro. E appunto, i grandi angeli di Silvia Fiorentino, maiolicati in tinte traslucide, sono il simbolo di un annuncio. «Anche nella religione ebraica, sono le creature – osserva l’artista – che fanno da mediatori tra il divino e l’umanità. Ma anche, sulla scorta di Walter Benjamin, e della sua analisi dell’Angelus novus di Paul Klee, traguardano il futuro, attoniti: le cataste di morti e di rovine appartengono solo al passato? La storia presente ci dimostra in contrario. Che baratro si apre davanti a noi?».
Domande senza risposta, come quelle che da sempre si pone l’arte, che riesce a indicare però una vita di riscatto: la contemplazione del bello e della capacità umana di saperlo riformulare, imitando la natura. Di questo e di molto altro si parlerà, durante la mostra, che si chiude il 6 novembre, nel corso di workshop per gli studenti d’arte e di incontri pubblici, tra cui quello fissato per il 21 maggio, Giornata internazionale della Ceramica. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico