Addio Citto d’Ascoli, nella città delle Cento Torri aveva girato “I delfini”, uno dei suoi film meglio riusciti

Addio Citto d’Ascoli, nella città delle Cento Torri aveva girato “I delfini”, uno dei suoi film meglio riusciti
ASCOLI - Tornava sempre con piacere ad Ascoli, Citto (Francesco) Maselli. Ascoli con immutabile affetto lo riabbracciava. E lo invitava ad abbandonarsi al flusso dei ricordi...

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ASCOLI - Tornava sempre con piacere ad Ascoli, Citto (Francesco) Maselli. Ascoli con immutabile affetto lo riabbracciava. E lo invitava ad abbandonarsi al flusso dei ricordi legati a quel film remoto girato in città, “I delfini”, opera sua seconda e fra le meglio riuscite, storia puntuta amara di vitelloni ulteriori, figli della ricca borghesia tentati dalla ribellione ma lesti a rientrare nei comodi ranghi. «Del set ricordo le lunghe telefonate di Betsy Blair a Gene Kelly che stava a Los Angeles, i capricci di Antonella Lualdi e il suo timore d’essere messa in ombra dalla Cardinale, il caratteraccio di Tomas Milian». E la bellezza della città, scoperta grazie a una «furiosa nevicata» che un giorno fortunato lo costrinse a deviare dal tragitto prestabilito.

 


Il compagno

Ora che Citto d’Ascoli è diventato a sua volta un ricordo - lui che sembrava dovesse esserci per sempre - sarà bene ristudiarne l’opera, da gran tempo messa da un canto, il cineasta ridotto a militante politico che faceva film fedeli alla linea del partito anche rifondato. C’è del vero. Il compagno Maselli, comunista fino al midollo e sino alla fine, ha girato anche film in cui il messaggio politico spianava la storia, i personaggi, tutto quanto. Si mangiava il cinema. Film tanto appassionati quanto deludenti. E però Maselli era uno che il cinema lo sapeva fare, eccome. Lo aveva imparato, poco più che bambino, da Visconti. Per Antonioni aveva scritto - non da solo, ventenne appena - “Cronaca di un amore” e “La signora senza camelie”. C’è da sfoltire, nella sua opera. Ma c’è molto da salvare e da ripensare. Penso alla trilogia sulla borghesia - il suo primo lungometraggio “Gli sbandati”, “I delfini” già ricordati e “Gli indifferenti”, dal romanzo di Moravia -, penso soprattutto a un gran film di metà anni Settanta, “Il sospetto”, thriller politico resistenziale, stratificato e appassionante. Mentre “Lettera aperta a un giornale della sera” a una prima visione mi intrigò e mi fece imbufalire insieme: altro titolo su cui ritornare. Un ricordo personale. 

Il tallone d’Achille

Credo fosse il 2005, quando Maselli venne ad Ancona per la proiezione di un film uscito una decina d’anni prima fra stroncature e platee deserte: “Cronache del terzo millennio”, proletari in contraddittoria lotta in un condominio destinato alla demolizione. La sala era piena, Maselli al solito battagliero. Ma quando il critico Gianni Canova - che pure il film lodò - gli fece notare l’incongruenza di quei corpi femminili spesso nudissimi e così perfetti, si sciolse in un sorriso. L’indomito combattente a pugno chiuso riconobbe d’aver nelle donne il suo tallone d’Achille.

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Corriere Adriatico