Asar Coskun svela con le sue foto l’umanità emarginata dei sobborghi di Istanbul nella mostra a Palazzo Bisaccioni

Asar Coskun uno dei venti protagonisti dell'anniversario della Leica M
JESI - Autore dei 25 scatti della mostra “Blackout. The dark side of Istanbul”, esposti a Palazzo Bisaccioni di Jesi fino al 30 novembre, il fotografo turco Coskun...

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JESI - Autore dei 25 scatti della mostra “Blackout. The dark side of Istanbul”, esposti a Palazzo Bisaccioni di Jesi fino al 30 novembre, il fotografo turco Coskun Asar racconta, attraverso le sue immagini, l’umanità emarginata dei sobborghi di Istanbul, denunciando la gentrificazione della città.

 

Asar, allievo di Ara Guler e uno dei venti artisti invitati ad esporre le loro opere in occasione del cinquantesimo anniversario della Leica M., interpreta il mezzo fotografico come «uno strumento, che al pari della letteratura, rappresenta un linguaggio per raccontare la propria storia e quella di chi ci circonda».


La biografia
Coskun è nato nella regione del Mar Nero nel 1974, la famiglia si trasferì a Istanbul l’anno successivo. Ha trascorso l’infanzia insieme a due fratelli e due sorelle in un bassofondo impoverito, abitato prevalentemente da migranti curdi, fino al 1990. La vita non era semplice, ma racconta che «i bambini possono trovare un posto per divertirsi ovunque, anche se, come piccoli di un sobborgo, non abbiamo mai capito quale strada avremmo dovuto intraprendere e dove saremmo dovuti andare».


Il quartiere
Il quartiere che fa da sfondo agli scatti esposti in mostra, tuttavia, è Beyoglu. «Andai a vivere a Beyoglu da solo, quando m’iscrissi all’università. Ci rimasi per quasi 25 anni. Dopo il 1995 la sua fisionomia era già composta da sottoculture e diversità etniche, ripari per gli esclusi, gang di criminali, bambini per strada, prostitute e individui transgender. Con la costruzione di un ponte nel 1984, che divise Tarlabasi da Taksim e Galata, aumentò il divario sociale ed economico e la criminalità divenne un effetto collaterale della povertà», racconta il fotografo. Il distretto è stato il centro della vita sociale, culturale e del divertimento notturno della città, con i suoi mercati, sale da concerti e antiche case greche. Collega, in una sorta di triangolo ideale, le aree di Taksim, Galata e Tarlabasi. Durante il periodo ottomano era conosciuto come Pera; cambiò nome dopo l’istituzione della Repubblica turca. Fu abitato, nel corso della storia, da minoranze non mussulmane: greci, armeni, levantini.ù

Il ricordo si fa storia: «La transizione da Pera a Beyoglu è coincisa con quella dall’Impero alla Repubblica e la maggior parte degli abitanti è stata esiliata. Si potrebbe descrivere questo processo di transizione con tre parole: esilio, abbandono, occupazione». Passi a cui ha contribuito il processo di gentrificazione della città. «L’ultima transizione - afferma Coskun - è iniziata circa dieci anni fa con il potere politico vigente, che con le riforme di rigenerazione urbana ha aumentato i problemi abitativi dei poveri. L’hanno chiamata “pulizia Tarlabasi”. Le persone vengono cacciate, gli edifici storici abbattuti, sorgono orribili centri commerciali».

Infine, una citazione per Ara Guler, il fotoreporter scomparso nel 2018. «Ha scattato delle fotografie eccezionali. Quelle degli anni ’50 e ’70 permettono di percorrere un viaggio nel passato. Purtroppo anche la sua Istanbul non esiste più, ma grazie al lavoro che ha tramandato ne rimane una preziosa testimonianza».

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Corriere Adriatico