“Da vicino, da lontano”, clic d'autore della Galleria Papini di Ancona

“Da vicino, da lontano”, clic d'autore della Galleria Papini di Ancona
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ANCONA - La fotografia è un’arte, che è stata definita “il processo attraverso cui l’osservazione diventa consapevole di sé”. La frase, lapidaria, di John Berger, autore di “Questione di sguardi”, è opportunamente citata da Michele Servadio nella presentazione della mostra “Da vicino, da lontano”, che si inaugura sabato alle 18 alla Galleria Papini di Ancona. Fino al 19 febbraio, saranno esposte, nei locali di via Bernabei 39, le immagini scattate da alcuni soci fotografi: Matteo Beducci, Silvia Breschi. Rosella Centanni, Gabriele Paolucci, Edoardo Pisani e Tiziana Torcoletti. «Ognuno di loro – spiega Anna Maria Alessandrini, presidente della Galleria - sviluppa con più foto un tema ampio, che dà la possibilità ai singoli partecipanti di esprimersi nei modi più congeniali alla propria poetica». 


La distanza


Perché intitolare la mostra “Da vicino, da lontano” viene chiarito da Servadio: «Fra le tante scelte prese dal fotografo al momento dello scatto, quella simbolicamente più importante è relativa alla distanza. Vivendo in un mondo tridimensionale, oggetti, persone e sfondi si mostrano davanti ai nostri occhi a distanze diverse. Ecco perché scegliere di rappresentare il proprio soggetto da vicino o da lontano non significa soltanto determinarne la distanza, significa anche scegliere fra il particolare e l’universale, tra la singolarità e la pluralità dimensionale». La scelta del punto di vista, poi, passa all’osservatore, che coglierà, con gli occhi, la mente e il cuore, la prospettiva a lui più “parlante”, tra i paesaggi lontani, onirici, di Edoardo Pisani e le geometrie urbane preferite da Rosella Centanni. Tra loro, Tiziana Torcoletti ci cala in una dimensione al tempo stesso vicina e lontana, in cui le figure si rarefanno nella nebbia, riconoscibili e insieme fantastiche (nella foto).


L’occhio meccanico


Più vicino preferisce indagare con l’occhio meccanico Gabriele Paolucci, per interrogare statue in cui la bellezza femminile è immortalata nell’istante dell’assoluto, che Silvia Breschi trova nella posa effimera di una farfalla, nella perfezione di un fiore appena sbocciato. Matteo Beducci, infine, sorprende giovani donne che si aggirano in antiche dimore abbandonate, dove il tempo ha scalfito, ma non cancellato i segni dell’eleganza. E le trasfigura in divinità. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico