Gori, “Lo Sgargabonzi”, con “Eglogle” nella Corte della Mole di Ancona: «Il mio show è scritto da un marziano»

La locandina dello spettacolo
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ANCONA - Lo conoscono tutti come “Lo Sgargabonzi”, all’anagrafe è registrato come Alessandro Gori: oggi, 12 luglio, alle ore 22 (biglietti 5 euro su vivaticket e al teatro delle Muse), sarà, con il suo spettacolo “Eglogle” nella Corte della Mole Vanvitelliana di Ancona, per il festival “La punta della lingua”.


Edoardo Sanguineti l’ha definita il più grande poeta umoristico di sempre: si rivede in questa definizione? «Per usare le parole dell’ispettore del film Bianca, avrei preferito essere definito: “uno che entra in casa tua come un amico, ma non è un amico”».

 

 
Qual è il filo conduttore di Eglogle? «Sono un redneck della Valdichiana che legge i suoi scritti senza nessun particolare talento attoriale».
Parlare di messaggio e di storia, è retorica? Come nasce “Eglogle”?
«Le ho detto di non aspettarsi troppo e lei mi fa delle domande degne dell’ottimo - mi si passi il termine un po’ ardito - Feuerbach. Eglogle nasce dalla mia voglia di fare un live davanti a un pubblico di gente che a un certo punto abbassa la pipa in radica e dice sottovoce al vicino: “per quanto anche Saba…”».
Perchè “sgranocchiare” alcuni prosecchi?
«Perché i prosecchi da che mondo è mondo si sgranocchiano».
Il significato del titolo?
«Pensavo fosse facile. Non è che pure lei è della Valdichiana? Eglogle è una variazione di Egloghe, la raccolta di poesie di Dante, quello famoso soprattutto per La Vita Nova». 
Come definirebbe se stesso?
«In nessuna maniera. Ma questo vale per tutto. Non mi piace catalogare il mondo in definizioni e categorie. Preferisco le sfumature, gli spazi vuoti fra le righe e quello che non afferro». 
Come sceglie gli artisti di cui parla? «Da una percezione opaca, da una faccia che mi colpisce. Cerco di documentarmi il meno possibile e andare d’istinto, cercando possibilmente d’essere sbagliato e fuori fuoco. Mi piace che i miei racconti sembrino scritti da un marziano che si finge un umano ma si capisce che c’è qualcosa che non torna».
C’è qualcosa che ancora non ha fatto, e che vorrebbe fare? 


«Mi piacerebbe realizzare un disco sullo stile degli Squallor, del resto Alfredo Cerruti è sempre stata per me una stella polare. E mi piacerebbe creare un gioco da tavolo dalla meccanica elegante, deterministica e foriera di metagioco. Reiner Knizia è un altro mio mito». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico