La moda va spremuta Natura e sfilate, un binomio perfetto che molti stilisti

La moda va spremuta Natura e sfilate, un binomio perfetto che molti stilisti
Arance, vino, foglie. La natura ci mette lo zampino e rivoluziona le passerelle della moda italiana e internazionale. Dalle aziende produttrici del fashion vengono confezionati...

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Arance, vino, foglie. La natura ci mette lo zampino e rivoluziona le passerelle della moda italiana e internazionale. Dalle aziende produttrici del fashion vengono confezionati tessuti morbidi e molto plasmabili: la prima collezione moda realizzata con tessuti ricavati dai sottoprodotti della lavorazione industriale delle arance viene lanciata da Salvatore Ferragamo e Orange Fiber, giovane azienda italiana che produce innovativi tessuti eco-sostenibili. Dall’Orange Fiber, un twill dall’aspetto e dal tocco serico, è nata una Capsule Collection di camicie, abiti, pantaloni e foulard, omaggio alla creatività mediterranea e impreziosita dalle stampe originali di Mario Trimarchi, architetto e designer, Compasso d’Oro 2016. 


La spremuta fashion
Ogni anno l’industria della spremitura delle arance produce oltre 700.000 tonnellate di sottoprodotto di lavorazione che deve essere smaltito, con elevati costi, sia economici che ambientali. Il brevetto messo a punto dall’italiana Orange Fiber permette di trasformare questo residuo di lavorazione in un tessuto di qualità e dall’alto contenuto d’innovazione tecnologica, utilizzando sottoprodotti altrimenti destinati allo smaltimento. Proprio per questo, un anno fa il giovane brand veniva insignito con il primo Global Change Award, premio internazionale indetto dalla H&M Foundation, per selezionare e accelerare le innovazioni con il più alto potenziale di trasformazione della filiera moda in chiave sostenibile.




Dalle arance al vino
E arriva anche Wineleather, la prima pelle 100% vegetale prodotta grazie ad uno speciale trattamento delle fibre e degli oli contenuti nella vinaccia, una materia totalmente naturale, costituita dalle bucce, semi e raspi dell’uva che si ricavano durante la produzione vinicola. Wineleather - informa una nota - si distingue anche dalle pelli “vegan” e quelle che vengono impropriamente chiamate “ecopelli” in quanto queste sono sintetiche e per la loro realizzazione vengono utilizzati prodotti chimici inquinanti. 
«Abbiamo creato e brevettato un innovativo processo produttivo che trasforma le fibre e gli oli vegetali presenti nella vinaccia, in un materiale ecologico con le stesse caratteristiche meccaniche, estetiche e sensoriali di una pelle», spiega Gianpiero Tessitore, fondatore di Vegea srl, ideatore di Wineleather. «Le vinacce in Italia sono una materia che abbonda e di qualità, a breve - prosegue Tessitore - realizzeremo veri e propri cru, delle selezioni speciali di pelle, da grandi produzioni vitivinicole». 

La seta è bio

Clerici Tessuto, 67 milioni di euro di giro d’affari nel 2016, punta invece sulla seta biologica per il mercato del lusso e sul ricambio generazionale. Il gruppo ha ottenuto da Icea, Istituto Certificazione Etica e Ambientale, la certificazione Gots (Global Organic Textile Standard) per i suoi tessuti. Si tratta dello standard più elevato al mondo per le fibre biologiche, sostenuto a livello internazionale da alcune tra le principali organizzazioni che promuovono nel mondo l’agricoltura biologica: Organic Trade Association, Ivn, Japanese Organic Cotton Association e Soil Association. La produzione di bozzoli biologici viene garantita dalla certificazione di Ongetta, il più importante importatore italiano di seta biologica, primo anello della filiera Filo d’Oro.  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico