Nata per scrivere, Asmae Dachan. E per comunicare: con poche parole, con un’efficacia diretta e persuasiva. Giornalista di genitori siriani, Asmae è nata ad Ancona....
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La religione non discrimina
Educata alla religione islamica, non ne fa una discriminante culturale: «La religione è un fatto personale, non basta nascere in un posto per definirsi di quella religione. Ma a scuola e nella quotidianità mi sono sempre confrontata con la cristianità. Per questo mi sento figlia di due culture, a cavallo tra due mondi: di fede musulmana e di cultura cristiana». Si percepisce una singolare apertura verso la religione, vissuta con grande curiosità e profondo rispetto. «Anzi, affetto. Quando si è bambini, la religiosità è piena di sentimento, non si hanno gabbie mentali. A scuola, prima dei compiti in classe io dicevo le mie preghiere e le mie compagne si facevano il segno della croce. Prega anche per me nel tuo modo, ci dicevamo. Scherzosamente, ma neanche tanto». I suoi figli, Khalil e Nur, di 19 e 15 anni, hanno scelto di frequentare l’ora di religione cristiana. «E io ho cominciato a fare la giornalista scrivendo per la Voce della Vallesina, che è un periodico diocesano! Rispetto reciproco e diversità, sempre un arricchimento». Sorride, da quel volto dolcissimo incorniciato da un foulard a fiori. Ecco, il velo. Una distinzione di identità? «Una scelta. Da piccola, mi sembrava qualcosa di meraviglioso, addosso a mia madre, un segno rituale di bellezza, dignità, regalità. Era come se avesse una carezza su di sé, che sentivo anche mia. Poi, crescendo ho approfondito e ho scoperto che nei valori del velo io mi rispecchio. Mi rende più libera, non meno».
Laurea in teologia islamica
Una laurea in teologia islamica, in Francia. Perché? «Dopo il liceo, avevo bisogno di capire chi sono, di approfondire le mie conoscenze sull’Islam. Dopo quattro anni, mi sono ritrovata con più dubbi che certezze: è un mondo talmente affascinante, che ci vorrebbero molti più anni per conoscerlo. Però sentivo che avevo finalmente le basi su cui lavorare. E allora mi sono iscritta a Scienza della Comunicazione a Urbino».
Nessuna emarginazione
Discriminazioni, in aula e fuori? «Mai, lo dico con orgoglio, neanche nel lavoro. La difficoltà più grande, da parte degli altri, era semmai pronunciare il mio nome: i compagni, sapendo che soffrivo di asma, mi chiedevano se il nome mi fosse stato dato per questo». Ride. «Asmae si chiamava una donna molto coraggiosa, in Siria».
Poi riflette, abbassando gli occhi orientali. «Dopo i fatti più recenti, ho notato un cambiamento nell’approccio delle persone. La paura e la rabbia fanno cambiare atteggiamento, e questo fa molto male: quelli sono colpevoli, tu no. E io ho paura soprattutto per i giovani, vittime più esposte al massimalismo degli adulti». Nel suo blog, nei libri che ha scritto per raccontare la Siria di oggi, nel rapporto quotidiano con le persone, Asmae riporta l’accento sulla vita umana. «È doveroso, mentre le notizie ci inducono una specie di assuefazione, dopo tanti anni di guerra. Ma non possiamo abituarci all’autobomba in Iraq o in Siria. Non sono notizie scontate, vera urgenza è dare all’altro un volto umano, fare nostra la sua sofferenza e avere empatia, comprensione».
Valori da trasmettere anche ai figli. «Una sfida bellissima per una donna: tirare su un uomo. Se lo cresciamo solo da “maschio”, vuol dire che qualcosa nella nostra educazione non funziona». A casa come fuori, lo stesso impegno? «Essere sempre se stessi. In quel nido arredato di cose e tradizioni, di riti e accoglienza». Un luogo dove tornare, e dove Asmae scrive i suoi libri. Anche un romanzo, «Dal quaderno blu». Perché? «Urgeva dentro di me, voleva nascere, per raccontare la realtà, con un linguaggio diverso da quello giornalistico. Ma senza finzione: non c’è bisogno di inventare niente».
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Corriere Adriatico