L’indagine sul contemporaneo di TeatrOltre, offre questa sera al Teatro della Concordia di San Costanzo l’appuntamento con la musica di qualità, ospitando...
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Cantautore, solista con una band: chi è Andrea Laszlo De Simone?
«Sono un padre di famiglia prima di tutto e poi anche musicista. In realtà questo disco nasce quasi per caso: sinceramente, con un bambino piccolo, non pensavo di fare una cosa del genere, compreso il tour»
Nelle sue canzoni si respirano atmosfere anni ’70 con un sentire contemporaneo…
«Io non sono un grande ascoltatore, non ho tutti questi riferimenti musicali: al di là del baffo, forse un po’ anni ’70, a paragonarle a quelle atmosfere è il metodo empirico con cui è stato fatto: probabilmente ha questa attitudine, ma non è stata ricercata. In quegli anni succedeva più spesso che i dischi fossero diversi l’uno dall’altro, cosa che oggi succede raramente, forse non siamo più abituati».
Quale musica ha influenzato la sua scrittura?
«Non ho mai comprato un disco in tutta la mia vita! Ma sono il fratello di Matteo De Simone dei Nadàr Solo, nasce prima la sua passione della mia e io suonavo perché lui voleva che lo facessi, devo ringraziare lui che ha molta più cultura di me. Non ho mai imparato nemmeno a suonare le canzoni di qualcun altro. Facevo il batterista perché ho imparato da bambino, ma non sono uno che ha particolari miti».
Eppure qualche influenza c’è…
«Ma sì, certo: Battisti, Modugno, ma non è che li conosco così profondamente, anche Battiato, David Bowie, i Nirvana. La loro è comunque una musica che non saprei nemmeno riprodurre: mi piace fare musica perché è divertente e sto iniziando anche a provarci gusto a fare musica dal vivo nel tour, ma, come dicevo, mai mi sarei aspettato di farlo».
È un disco d’amore?
«Involontariamente sì: canzoni che avevo selezionato più un paio di exploit che parlano del rapporto con la realtà. Sono d’amore o sembrano d’amore, ognuno gli dà il significato che vuole».
Cosa pensa delle molte meteore attualmente nella musica italiana?
«La società si è trasformata molto: il problema è quello che molti arrivano al successo senza avere la capacità di mantenerlo perché dietro non ha nulla. Esistono contenitori in cui vanno i giovani che sono più grossi di loro: fai solo fare successo al programma, senza sapere cosa dire davvero alle persone. Se uno arriva al successo se lo deve essere guadagnato, mentre qui domattina hai 500mila persone che ti ascoltano e dopodomani non hai nulla se non la tua depressione». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico