Fata buona, maga bella e maliarda ma anche veggente e incantatrice se non addirittura perfida e demoniaca. La Sibilla - Appenninica - dal suo antro guarda ancora gli uomini e le...
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Il mistero
«Nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, i monti Sibillini costituiscono un angolo di mistero - spiega la psicologa e psicoterapeuta Antonella Baiocchi che ha affrontato il tema uìin riviste e incontri-: accanto ai misteri del Lago di Pilato (che per secoli ha attirato maghi e seguaci dell’occulto) e ai ricordi di antichi riti negromantici che si consumavano nella Gola dell’Infernaccio, si affianca il Mito della Sibilla, una sacerdotessa in grado di predire il futuro, che dimorava con le sue Fate Ancelle in una caverna rocciosa denominata Grotta della Sibilla, detta anche grotta delle Fate, considerata il punto d’accesso al regno sotterraneo della sacerdotessa». Si narra che da tutta Europa negromanti e cavalieri erranti, facessero viaggi estenuanti nella speranza di carpire un suo oracolo.
L’abitudine
Da quest’abitudine di avere contatti con il mondo terreno, nasce anche il tema del mito dell’Amore che le legava agli uomini. Secondo una versione della fiaba, questi ultimi, una volta entrati in contatto con le fate, sarebbero stati sottratti al loro mondo divenendo immortali: così come succedeva alle fate, rimanevano in vita fino alla fine del mondo, ma erano costretti a vivere nella grotta, nel mondo della notte, con le fate e la sacerdotessa. Alcuni sostengono che le fate siano ancora adesso sui monti Sibillini e a riscontro di questa convinzione adducono fantasiose prove: le treccioline delle criniere delle cavalle. A volte gli animali condotti liberi al pascolo sui monti tornano con la criniera pettinata a treccioline e i valligiani sostengono che le artefici sarebbero le fate; le luci random, fenomeno osservato in prevalenza nella zona di Santa Maria in Pantano, a Colle di Montegallo (AP), osservabile al tramonto: sulle montagne a volte si vedono delle luci che si muovono come se fossero delle persone, individuate come le fate che risalgono i pendii. Le fate sibilline furono demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati. Furono costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna ed entrare a far parte del mondo invisibile. Secondo la ricerca di Polia gli abitanti delle zone imputano la scomparsa delle fate a una sorta di scomunica inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le loro parti caprine.
L’interpretazione moderna
«Nella leggenda si perpetua la “tossica” disparità tra il genere maschio e genere femmina - fa però notare Baiocchi - : l’intenzione primaria della leggenda a mio avviso è quella di tenere viva una cultura di subordinazione, demonizzazione ed isolamento della donna, che necessita di essere tenuta ai margini sociali (invisibile, nel buio della notte) perché vissuta (con i suoi poteri e la sua forza) come è una minaccia per il maschio. La leggenda delle Fate Sibilline può essere interpretata come una traslata forma di discriminazione ed emarginazione nei confronti della donna precursore della Caccia alle streghe e del Delitto d’onore, due delle più popolari forme di femminicidio legalizzato presenti nell’immaginario collettivo, e precursore degli efferati atti cruenti, che a tutt’oggi, continuano ad insanguinare le nostre cronache». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico