«Non è grave», ma muore a 38 anni poche ore dopo l'incidente: risarcimento milionario alla famiglia

Urbino, «Non è grave», ma muore a 38 anni poche ore dopo l'incidente: risarcimento milionario alla famiglia
URBINO - La Corte di Cassazione ha messo, con sentenza 11719 del 5 maggio scorso, il punto finale alla lunga vicenda di un giovane 38enne, deceduto nel 1996 per un caso di...

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URBINO - La Corte di Cassazione ha messo, con sentenza 11719 del 5 maggio scorso, il punto finale alla lunga vicenda di un giovane 38enne, deceduto nel 1996 per un caso di malasanità ad Urbino dopo un incidente stradale in cui aveva riportato alcune fratture e un trauma toracico - addominale.

 

Dunque ben 25 anni, pervasi da dolore, da vari casi di giudizio e da ricorsi in appello fino ad arrivare alla sentenza definitiva da parte della Corte di Cassazione che «ha ritenuto fondata l’impugnazione dei familiari, confermando il danno morale da lucida agonia o danno catastrofale subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine, risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo temporale intercorso tra le lesioni e il decesso». 

Il pronto soccorso ducale

Secondo i familiari, rappresentati e difesi dagli avvocati Giovanni, Claudia e Gabriele Chiarini con Studio legale nella città ducale, «al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Urbino, le condizioni del 38enne furono considerate non preoccupanti, nonostante il sospetto di una emorragia interna; ma a causa di una erronea organizzazione dei turni di reperibilità, nonostante la presenza dell’ecografo, l’esame non fu eseguito portando in sole sette ore alla morte del paziente, nonostante il disperato tentativo di cura presso un secondo ospedale». Dalla Consulenza Tecnica d’Ufficio, che per i passaggi pertinenti era stata adeguatamente riprodotta in ricorso, era inequivocabilmente emerso «come il paziente fosse rimasto lucido almeno sino alle ore 1.20 del mattino, quando aveva accusato una improvvisa perdita di coscienza accompagnata da arresto respiratorio, cui aveva fatto seguito la morte». 
«È indubbio il rilievo di questa pronuncia della Suprema Corte», commenta l’avvocato Gabriele Chiarini, che, con il suo Studio Legale, ha seguito il lungo iter giudiziario che ha portato alla liquidazione di un danno non patrimoniale pari a 726.000 euro, divenuti più di 1 milione in forza della rivalutazione e degli interessi maturati, in favore dei congiunti. 
«Accogliendo il nostro ricorso – continua l’avvocato Gabriele Chiarini - la Cassazione ha ritenuto che, diversamente da quanto stabilito prima (dalla Corte Territoriale ndr), il paziente avesse maturato, nelle sette ore precedenti il decesso, il diritto al risarcimento anche di quella particolare componente del “danno terminale” che viene tradizionalmente denominata “danno catastrofale” risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo temporale intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’integrità della sofferenza medesima». 

La Corte d’Appello

«Tale pregiudizio, correlato alla lucida agonia affrontata nella consapevolezza della propria fine imminente, dovrà pertanto essere liquidato “iure hereditatis” alla moglie e al figlio della vittima - conclude l’avvocato -. Cassata la sentenza impugnata, pertanto, la causa è stata rinviata alla Corte d’Appello affinché, in diversa composizione, proceda a liquidare il danno catastrofale reclamato dai nostri assistiti».

 

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Corriere Adriatico