Don Marco: «Per il Covid sono così sfinito che non ho voglia di pregare»

Don Marco: «Per il Covid sono così sfinito che non ho voglia di pregare»
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PESARO  - È uno dei sacerdoti più amati: Don Marco di Giorgio, 60 anni, Digio per tutti, ha guidato la Caritas e lasciato il suo segno indelebile nelle parrocchie in cui ha prestato il suo servizio. Oggi è il parroco della chiesa di Santa Maria Assunta di Vallefoglia. Brioso, intellettualmente vivace, simbolo dell’accoglienza è oggi, da nove giorni, in isolamento per aver contratto il Covid.

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«Come stai? Questa è la domanda che mi fanno tantissimi amici - ha scritto ieri sul suo profilo Fb - e allora provo a rispondere in modo più diffuso qui per chi ha voglia di leggere. Ho la febbre oscillante da 37.2 al picco di ieri sera, 39.2. Sono assolutamente consapevole di essere fortunato rispetto alle persone intubate o in terapia intensiva: i miei polmoni sono puliti e posso stare a casa». Poi con coraggio e lucidità racconta cosa sia questo virus: «Avere “solo” la febbre significa dolori diffusi in tutto il corpo che non si attenuano in nessuna posizione (seduto, sdraiato, sul fianco ecc). Questo impedisce un sonno profondo e ristoratore: l’unica cosa a cui agogno con tutto il cuore. Quando la febbre si alza, arrivano tremori interni che afferrano braccia e gambe: se per caso sei in piedi devi fiondarti nel letto perché rischi di cadere. I tremori poi passano alla pancia e infine perfino alla mandibola per cui batti i denti letteralmente. Insomma perdi il controllo del tuo corpo per 5/10 minuti e non è una bella sensazione». Poi come è nel suo stile si affida alla parabola, alla metafora: «La sensazione generale in tutto questo è come se ti fosse passato sopra un Tir col rimorchio e avesse fatto anche la retromarcia». 


Infine la confessione più umana e più intensa: «Non hai voglia di fare assolutamente niente: non hai voglia di leggere o di scrivere, non hai voglia di parlare e neanche (Signore perdonami) di pregare. Ogni piccola cosa, anche prendere un bicchiere o rispondere al telefono ti costa uno sforzo mentale e fisico impegnativo. Ma lui è Digio e conclude: «Grazie alle tantissime disponibilità (la frase più letta in questi giorni: “Se hai bisogno chiama!”). Grazie davvero. Sono commosso e grato. Ho scritto non per farmi compiangere, ma per ringraziarvi tutti, per chiedere una piccola preghiera e anche per quelli che dai, in fondo è solo un’influenza un po’ più forte. Prendila anche tu che poi ne parliamo. Un abbraccio a tutti».  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico