PESARO - Giovane passa dei guai giudiziari finendo indagata per falso ma era un caso di omonimia. In pratica la sua unica colpa è stata quella di avere generalità...
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E solo l’altro giorno, con il proscioglimento da parte del gup perchè il fatto non sussiste, la donna ha potuto finalmente tirare un sospiro di sollievo. Protagonista e vittima dell’errore di omonimia una trentenne di origine umbre ma ormai stabilmente residente a Pesaro. E tutto perchè, nel corso delle indagini sugli accertamenti patrimoniali è stata invertita una lettera che compone il codice fiscale.
L’indagine riguardava l’accusa di false dichiarazioni patrimoniali. Tutto è cominciato un anno fa quando la donna per essere ammessa al gratuito patrocinio - concesso a chi solitamente ha un reddito basso, non superiore a 11 mila e 500 euro - per una causa pendente in Umbria aveva richiesto all’Agenzia delle Entrate la certificazione dei propri redditi. L’ente ha poi delegato l’ufficio della Guardia di Finanza a svolgere le verifiche patrimoniali del caso. Proprio in quell’occasione, sarebbe stata invertita una lettera del codice fiscale, facendo risultare così la 30enne proprietaria di beni mobili, e con ben altro reddito patrimoniale. «L’iter giudiziario che ha visto coinvolta la giovane – entra nel merito il legale della 30enne. Matteo Mattioli – è frutto di un errore compiuto nel corso di un’attività ispettiva di verifica patrimoniale, condotta sulla sua identità. Alla donna sono state contestate false dichiarazioni, come quella di non essere l’unica componente del proprio nucleo familiare. Le era stata attribuita anche la proprietà di una Harley Davison e di una moto Honda 600. L’accertamento patrimoniale nel corso delle verifiche, è stato però effettuato nei confronti di un’altra donna per un errore di omonimia derivante dalla trascrizione sbagliata del codice fiscale. A quel punto ci si è rivolti al Pra, pubblico registro automobilistico, e in effetti dalla visura si è vista che la donna non aveva mai posseduto i veicoli contestati nel capo d’imputazione. Certo è che qualcosa non ha funzionato nel passaggio di carte e documentazione. Tra l’altro c’era già una relazione della Finanza inviata alla Procura che certificava che la mia assistita era nullatenente, ma la stessa relazione non è mai arrivata a destinazione né inserita nel fascicolo delle indagini del pm. Tutto per fortuna si è risolto in via definitiva nell’udienza preliminare di fronte al gup di Perugia a cui erano stati già inoltrati gli atti per il rinvio a giudizio. Il paradosso sta proprio qui. Errori, che si sono susseguiti, forse anche per l’eccessiva burocratizzazione dei procedimenti, hanno fatto sì che venisse coinvolta una persona estranea totalmente a quelle accuse». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico