Pesaro, Albanesi dai gol al saio Vocazione e addio al calcio milionario

Stefano Albanesi
PESARO - C’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli. C’è un tempo per fare gol e uno per indossare il saio. Se la magnitudine apparente...

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PESARO - C’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli. C’è un tempo per fare gol e uno per indossare il saio. Se la magnitudine apparente di un calciatore è proporzionale alla sua capacità di far scintillare gli occhi dei tifosi, quella di un uomo di Chiesa si percepisce «se chi stai confessando apre veramente il cuore: in quel momento provo la stessa gioia di quando segnavo davanti a tante persone». Appunti sulla vita precedente: era il 25 luglio 1999 quando Stefano Albanesi, ex attaccante della Vis in C2, cresciuto nell’Ancona, appena ingaggiato in Serie B con contratto triennale dal rampante Pescara di Galeone e Allegri, decise di lasciare il calcio per farsi frate.

Aveva 24 anni, talento e una carriera milionaria davanti. «La chiamata al sacerdozio non viene all’improvviso: è un cammino – racconta frate Stefano, oggi vice parroco a Santa Maria degli Angeli di Assisi e responsabile della Caritas locale -. Dio mi aveva messo nel cuore dei semi. Il calcio, per un periodo, mi aveva allontanato dalla chiesa. Con l’infortunio avuto all’Ancona ho avuto la possibilità di riflettere. Il dolore e la sofferenza hanno risvegliato la mia sensibilità. A Pesaro facevo parte di un gruppo di preghiera, conobbi il vescovo Bagnasco che mi fece apprezzare l’accoglienza della Chiesa. Nei gesti di don Benzi ho visto Gesù. Grazie a lui ho conosciuto un Cristianesimo vicino agli ultimi».
Natale ‘97. Prima rete di Albanesi in maglia vissina contro i sassaresi del Tempio: quasi un segno del destino. La foto in cui esulta correndo leggero, davanti alla “Prato”, è evocativa. «Ricordo bene quel gol: sinistro di potenza da fuori area. Emozionante. I miei genitori conservano i giornali di allora. Ogni tanto li riguardo. Per loro fu una cosa inaspettata, fecero fatica a capirmi ma oggi sono contenti. Pesaro mi è molto cara: lì è avvenuta la mia conversione. Ci sono tornato per celebrare un battesimo. Consentitemi di salutare con affetto i grandi tifosi della Vis».  Molti dissero: poteva diventare ricco e famoso, invece ha deciso di vivere in povertà. Perché? «Mi sono fatto guidare dal Signore. E sono felicissimo di questa scelta. Ma l’esperienza del calcio non è stata una parentesi o uno sbaglio, anzi». Lo sport resta un fenomenale antidoto per salvare i giovani dalle tentazioni. «Sono convinto di questo. Parlo dello sport, non del professionismo che è un mondo a parte. Lo sport è fatica, rapporto con i compagni ed esperienza concreta. Invito sempre i genitori a far fare sport ai figli. L’ambiente sano, poi, dipende anche dalla società. Io ho avuto la grazia di trovare allenatori che sono stati come dei padri». Lo sport, lo ripete Papa Francesco, deve essere anche simbolo di pace. In molte discipline, però, non mancano i lati oscuri.

«Questo si avverte ovunque girino i soldi. Nei settori giovanili spesso si vogliono scovare talenti a ogni costo. Si strumentalizza una passione per cercare di guadagnare sulla pelle di ragazzi illusi e poi traumatizzati. E molti genitori non sono esenti da colpe: una volta stavano al loro posto, ora sono i primi a volerli vedere sfondare». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico