Pesaro, inchiesta crac Bruscoli libri contabili e Pc in Africa

Il tribunale di Pesaro
PESARO - I libri contabili e i computer? Semplice, in Africa. E’ quanto emerso durante l’udienza del processo per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale ai...

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PESARO - I libri contabili e i computer? Semplice, in Africa. E’ quanto emerso durante l’udienza del processo per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale ai danni dei Bruscoli, la famiglia legata in passato alla Vis Pesaro prima con Giuseppe e poi con suo figlio Gianluca. A portarli là sarebbe stato il prestanome rivestito di 16 cariche in diverse società, ma che viveva nella miseria a Vallefoglia. L’inchiesta della Guardia di Finanza era partita da una denuncia di una società con sede a Misurata (Libia) operante nel settore petrolifero, la Lisco, che segnalava la condotta “truffaldina” di una società pesarese, la Tecnobrum S.r.l., in particolare su presunte forniture pagate milioni di euro ma arrivate come materiali di scarto.


Il collegio ha ammesso la Lisco come parte civile in relazione al danno non patrimoniale subito. Gli avvocati Paolo Biancofiore difensore di Gianluca Bruscoli, Umberto Maria Bianco difensore di Giuseppe Bruscoli e Andrea Casula difensore di Roberto avevano già ottenuto la prescrizione per il reato di truffa. L’obiettivo delle difese ora è quello di dimostrare come i materiali inviati non erano di scarto e chiarire le questioni del fallimento. Durante l’udienza fiume ha parlato un responsabile della Lisco. Tutto in arabo, dunque con qualche difficoltà di traduzione. 
«E’ stato detto che il primo invio di materiale sarebbe stato conforme – spiega Biancofiore – il secondo corretto ma non assemblato, il terzo e il quarto non avrebbero rispettato i parametri. Ma ricordiamoci che erano gli anni della guerra in Libia e dei bombardamenti». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico