Strage di Corinaldo, incubo infinito Il padre: «Io, terremotato permanente»

I soccorritori alla Lanterna Azzurra
FRONTONE - Lo strazio, quel dolore sordo che rende la sua vita un incubo da quella maledetta notte tra il 7 e l’8 dicembre, Giuseppe Orlandi, il papa di Mattia morto a soli...

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FRONTONE - Lo strazio, quel dolore sordo che rende la sua vita un incubo da quella maledetta notte tra il 7 e l’8 dicembre, Giuseppe Orlandi, il papa di Mattia morto a soli 15 anni nella tragedia della Lanterna Azzurra, ha deciso di renderlo pubblico. «Chi ci conosce, vive a margine della nostra tragedia – spiega a viva voce -. Crede di capire ma non si può rendere conto che noi viviamo in un incubo di cui, con mia moglie Paola, non riusciamo ad uscire. Da quando Mattia non c’è più, non abbiamo più una vita normale. Mi sento un perenne terremotato e so che è raccapricciante ma sono arrivato ad un punto dove non mi basta più esternare la mia pena ma devo rendere pubblico l’odio che ormai mi fa da seconda pelle».


Per Giuseppe, non c’è più felicità e gioia per affrontare un futuro. «La perdita di un figlio è la cosa più drammatica che possa accadere a chiunque, se poi andiamo ad analizzare la dinamica è orribile: il mio figlio ha perso la vita in una discoteca che risulta oggi un deposito agricolo. E questo ci condiziona ogni giorno».
Il perdono non esiste. «Né per le persone, né per le istituzioni, che avrebbero dovuto vigilare sulla sicurezza e stabilire se un locale era idoneo a ospitare dei ragazzini che cercavano un po’ di divertimento. Devono essere puniti – incalza - per la loro negligenza e la loro superficialità. Come non possono essere perdonati i balordi che spruzzando quel dannato spray al peperoncino hanno provocato la morte di tanti ragazzi. Devono passare il resto della loro squallida vita in galera». Ma quello che distrugge Giuseppe Orlandi «è il pensiero che ogni sera mi assale prima di coricarmi di aver dubbi se, come genitore, ho fatto il mio dovere».


Come padre ricorda che si è sempre preoccupato della sicurezza di Mattia. «Ho voluto comprargli una microcar, sono stato molto attento a fargli rispettare il codice della strada, se andava lontano, lo portavo io, poi, una notte ho scoperto che l’insicurezza non era sulla strada ma nel locale dove era andato a divertirsi». Dalla giustizia Giuseppe si aspetta che ponga i presupposti affinché una tragedia del genere non succeda più e chi ricopre degli incarichi di responsabilità applichi le normative e le legge. «Chi ci ha sconvolto la vita è colpevole di un crimine, di una strage che poteva e doveva essere evitata. Non dovrà mai più succedere che un capanno agricolo senza concessione edilizia possa essere un luogo di intrattenimento e di pubblico spettacolo». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico