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FANO - La pioggia raffredda le polveri sottili che stavano tornando a farsi minacciose. E dopo quella caduta lunedì, il vento di ieri potrebbe averle spazzate via almeno per un po’. Fino a domenica invece notizie poco confortanti dalla centralina di via Montegrappa, che nel giro di meno di una settimana aveva annotato quattro sforamenti della soglia dei 50 microgrammi per metro cubo d’aria che la legge consente di abbattere solo 35 volte l’anno.
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Tra martedì e giovedì tre consecutivi, con il picco di 65 microgrammi il 12 novembre mentre lunedì erano stati raggiunti i 52 e giovedì i 61. Altro scollinamento sabato con 57, quando invece venerdì si era scesi a 48.
Limite invece toccato senza essere superato domenica scorsa, ma 50 microgrammi erano stati già rilevati anche il 4 novembre.
Considerazione che si fa in questa fase storica ancora più preoccupante e specie dopo che in primavera uno studio della Società italiana di medicina ambientale, affiancata dalle Università di Bologna e Bari, aveva avvalorato la tesi che la concentrazione di polveri contribuisse alla veicolazione del Covid 19, sulla base dell’analisi dei numeri pubblicati dalle Arpa e la conseguente relazione individuata tra i dati degli sforamenti e quelli relativi alla diffusione del contagio nelle zone più colpite. La coda lunga dell’estate ha prolungato la rituale tregua ma di qui in avanti è evidente che ogni giorno possa risultare buono per un nuovo picco, come indicano chiaramente i venti sforamenti totalizzati fino al 19 febbraio.
Del tutto imprevista invece la tripletta di fine marzo, quando la centralina rilevò concentrazioni fino a 142 microgrammi per metro cubo d’aria. Il fenomeno, che investì in realtà la dorsale adriatica e la parte esposta ad est del centro Italia, venne ricondotto all’improvvisa invasione di particelle di sabbia del deserto del Karakum spinte dall’Asia centrale .
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Corriere Adriatico