Lavoratori sfruttati a 3 euro all'ora e costretti a pagare affitti astronomici: quattro arrestati nella catena di autolavaggi

FANO - Caporalato e sfruttamento dei lavoratori, scatta il blitz dei carabinieri nelle catene di autolavaggio. Pagavano i dipendenti degli autolavaggi 3 euro l'ora, senza...

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FANO - Caporalato e sfruttamento dei lavoratori, scatta il blitz dei carabinieri nelle catene di autolavaggio. Pagavano i dipendenti degli autolavaggi 3 euro l'ora, senza alcun contributo previdenziale e prelievo fiscale, li costringenvano a pagarne 150 per alloggi completamente fatiscenti e privi dei servizi base: i carabinieri del gruppo tutela lavoro hanno arrestato quattro cittadini egiziani che reclutavano soprattutto connazionali per poi impiegarli nei loro impianti di autolavaggio. Che, proprio grazie a queste attività, riuscivano a proporre i propri servizi a prezzi inarrivabili per la conocrrenza.

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Questa mattina i carabinieri del gruppo tutela del lavoro di Venezia, coadiuvati dai colleghi dei comandi provinciali di Latina e Ravenna, hanno dato esecuzione, a quattro misure cautelari, una in carcere e tre agli arresti domiciliari, nei confronti di altrettanti soggetti di nazionalità egiziana, ritenuti responsabili di intermediazione e sfruttamento del lavoro aggravato in concorso, commessi nei confronti di decine di cittadini stranieri, per la maggior parte loro concittadini. Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Pesaro, su richiesta della locale Procura, trae origine da un'attività investigativa avviata e condotta, tra i mesi di febbraio 2020 e marzo 2021, dai militari del nucleo di Pesaro Ubino, a seguito delle risultanze ispettive derivate da una serie di controlli effettuati ad impianti di autolavaggio delle provincia di Pesaro Urbino e limitrofe. Le indagini, coordinate da Silvia Cecchi, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro, hanno consentito ai militari di individuare una impresa operante nel settore del lavaggio di autoveicoli, con sede legale a Fano (Pu), che reclutava cittadini, prevalentemente egiziani, da impiegare come manodopera per lavorare presso diversi impianti del settore, in regime di sfruttamento. Gli accertamenti condotti dai carabinieri del Nil di Pesaro e Urbino attraverso complessi servizi di osservazione controllo e pedinamento, attività tecnica di videoripresa, oltre che controlli ispettivi e acquisizione di informazioni testimoniali rese da numerosi lavoratori, permettevano di far emergere le condotte delinquenziali dei quattro indagati: il principale di questi, cittadino egiziano, in qualità di datore di lavoro di fatto e titolare occulto dell'autolavaggio, rivestendo un ruolo apicale nel sodalizio con funzioni di direzione, coordinamento e controllo del personale impiegato, nonchè riscossore degli incassi settimanali, si serviva degli altri tre indagati per reclutare, trasportare e impiegare, anche «in nero», presso l'impianto di autolavaggio, i lavoratori ai quali corrispondeva una retribuzione oraria di 3,00 euro per ogni ora di lavoro, a fronte dei 6,51 euro contrattualmente previsti, omettendo il pagamento di ogni emolumento accessorio ed obbligatorio previsto dal contratto collettivo nazionale applicato. Dalla attività investigativa, inoltre, è emerso come i quattro arrestati, approfittassero dello stato di bisogno dei lavoratori che si trovavano in condizioni di vulnerabilità e bisogno dettate dalla loro necessità di rinnovare il permesso di soggiorno e dello stato di indigenza in cui versavano, impiegandoli per 12 ore giornaliere, senza consentire la fruizione del riposo settimanale e imponendo loro il pagamento di 150,00 euro per un posto letto all'interno di dimore in pessimo stato, prive di riscaldamento, con infissi danneggiati e con servizi igienici del tutto inadeguati, per poi impiegarli come lavaggisti presso l'impianto di Fano (Pu) ma anche, a necessità, presso altri impianti delle altre province limitrofe, del Lazio e Abruzzo. Anche le norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro sarebbero state completamente disattese: infatti ai lavoratori non sarebbe stata assicurata la formazione sul proprio impiego così come non veniva distribuito alcun tipo di dispositivo di protezione individuale tanto da non consentire loro alcuna protezione dai rischi specifici derivanti dal tipo di mansione svolta e, tanto meno, alcuna forma di prevenzione alla diffusione della pandemia da covid-19.

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Corriere Adriatico