Ferretti, il genio delle nautica apre le porte del suo museo: «Ranieri di Monaco voleva una mia barca, dissi di no»

«Ranieri di Monaco voleva una mia barca, dissi di no»

Il Norberto Ferretti Museum si trova a Misano e racchiude la vita del fondatore della Ferretti Group
CATTOLICA - L’ultimo gioiello di Norberto Ferretti si trova sulla terra ferma. È un museo che racconta la sua vita, una piccolo Paese delle Meraviglie, un tempio...

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CATTOLICA - L’ultimo gioiello di Norberto Ferretti si trova sulla terra ferma. È un museo che racconta la sua vita, una piccolo Paese delle Meraviglie, un tempio laico per appassionati di motori in ogni declinazione, pedagogia della nautica e storie di vento sulla faccia. Come in un film di pirati e tesori, partiamo dalla mappa: il Museum NF si trova a Misano Adriatico al 9/11 di via Enzo Ferrari (indirizzo evocativo). 

 

 

«Se faccio io da Cicerone si visita con uno spirito diverso» avvisa il cavaliere Norberto Ferretti, classe ‘46, fondatore dell’omonimo gruppo (il più grande cantiere europeo per fatturato, con al suo interno 9 celebri brand) poi ceduto nel 2013 ai cinesi di Weichai, ma anche campionissimo di off-shore: in poche parole pioniere e genio della nautica che però, fino a ottobre, sarà nel suo buen retiro di Formentera dove riceve amici e jet set internazionale (che spesso coincidono). I pezzi unici esposti nel museo di 800 metri quadrati, come le madeleine di Proust, regalano ricordi di Ferretti uomo, sportivo, campione, costruttore di barche a vela e poi a motore. Uno che fu capace di dire no a Ranieri III di Monaco. «Voleva comprare la prima barca, ricavata da un peschereccio, che ho costruito e portato in fiera a Genova. Il segretario di Ranieri la vide, la fotografò e il principe dopo averla vista disse: la prendo. Io risposi no: la barca era artigianale, fatta con un motore usato e l’impianto a cura del mio elettricista - sorride Ferretti - Così mi feci invitare a Montecarlo per spiegare di persona che quella barca molto fascinosa potevo gestirla solo io, conobbi Ranieri e instaurai una buona conoscenza. Il figlio mi veniva sempre a salutare a Genova. Anni dopo la comprò un inglese. Avrei voluto riportarla a Cattolica ed esporla in giardino ma non l’ho più trovata». 
Ecco, capite perché vale la pena di immergersi, corpo e mente, nel Museo Ferretti? «Non ci sono fisicamente le barche ma tutte le loro foto con documentazioni cartacee manoscritte da me e mio fratello, compresi i piani di produzione dal ‘75 al ‘91. C’è la mia storia e quella di tutti i marchi che Ferretti ha posseduto». Non solo: la storia di Ferretti e della sua famiglia passa anche dalla grandissima agenda telefonica con soli numeri fissi, alle lettere dei clienti spesso divenuti amici fino a una calesse del 1943, appartenuto al prete di Saludecio, «che mi fu regalato quando inaugurai nel centro di Cattolica», oltre 100 modellini di velieri, le coppe vinte tra cui due Mondiali con l’off-shore («contro una squadra di Dubai che aveva risorse illimitate»), la pelliccia per la laurea ad honorem in ingegneria. Ci sono pezzi di barche (comprese le eliche) e «la Ferrari del 1965 di mio fratello, il pezzo più importante: una parte del museo è dedicata a lui, scomparso nel 1995». Tu chiamale se vuoi, emozioni. 
Per visitarlo? È aperto dalle ore 9 alle 12 e dalle 16 alle 18. Oppure mandando un messaggio sulla pagina Instagram (norferretti, ndr). Il museo, che si trova sopra un suo piccolo refitting («non per conto terzi» avvisa), è nato per gioco lo scorso dicembre per raccogliere la storia di una vita. «Ho cercato di convincere altri industriali a realizzare una cosa simile, un modo per lasciare qualcosa di quello che abbiamo fatto». Talento, intuito ed esperienza. Come quella che con Solaris Power lo ha portato a realizzare due barche, la seconda premiata come la migliore europea dell’anno».



Lo sguardo di Ferretti, però, è sempre un passo avanti. Parli del museo ma pensi al futuro. «Le barche elettriche? Se la questione è ambientale si sposta solo il problema. L’Italia non è ancora green. Come le ricarico? Servirebbe una autoproduzione con pannelli fotovoltaici e colonnine. Altrimenti chi la produce la corrente? Spostiamo solo il problema. Pensiamo alle auto elettriche e poi ci teniamo le fabbriche che inquinano molto di più. Io ho realizzato nel 2000 la prima barca a impatto zero Moki Long Range con due motori elettrici. Fu un fiasco commerciale. Sono favorevole ai motori elettrici ma, al momento, solo per uscire dal porto. Il povero Gardini lo diceva 30 anni fa che dovevamo fare plastica riciclabile e nessuno lo ascoltò».

 

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Corriere Adriatico