«Troppe le incertezze È meglio chiudere almeno fino a Pasqua»

«Troppe le incertezze È meglio chiudere almeno fino a Pasqua»
LA RIPRESA ASCOLI Da domani si cambia colore, torna la zona gialla che consentirà ai ristoratori di poter nuovamente accogliere nei propri locali i clienti. Ma non è escluso,...

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LA RIPRESA
ASCOLI Da domani si cambia colore, torna la zona gialla che consentirà ai ristoratori di poter nuovamente accogliere nei propri locali i clienti. Ma non è escluso, dato il numero di contagi in crescita in questi ultimi giorni, che dal prossimo fine settimana, quando ci sarà un nuovo Dpcm, i ristoratori dovranno nuovamente abbassare le saracinesche. Una serie di aperture e chiusure che non rende facile il lavoro di chi deve organizzarsi tra la spese per preparare i vari piatti e soprattutto garantire occupazione al personale. «È meglio farci chiudere per due mesi per poi ripartire bene a Pasqua» è lo sfogo di Pio Fioravanti del ristorante Il Poggio ad Ascoli. «La nostra categoria come può andare avanti se poi non c'è consentito lavorare. Inoltre bisogna tenere presente che i proprietari degli immobili non abbassano il canone d'affitto. In questi giorni abbiamo sempre proseguito con il servizio d'asporto, ma qui il guadagno è irrilevante, e quando possibile abbiamo aperto, come faremo lunedì (domani, ndr), anche se di persone in giro ce ne sono poche».

I costi
Ha proseguito con il servizio d'asporto anche Giorgio Maggioni del ristorante Zasa Music in via Risorgimento a San Benedetto: «Domani torneremo a lavorare anche a pranzo, ma non è facile organizzarsi tra chiusure e aperture in così poco tempo, e soprattutto con poco preavviso. Però ci sono dei costi da sostenere come quelli relativi alle utenze e agli affitti, dunque cerchiamo di stare aperti quando è consentito, e proseguiamo con l'asporto. Per quanto riguarda il personale a chi è scaduto il contratto non abbiamo potuto rinnovarlo, con molto dispiacere. Non capisco perché i ristoranti, con i distanziamenti e l'adozione di tutte le misure previste dal protocollo anti Covid-19, non possono stare aperti come ad esempio i supermercati».
Voglia di normalità
È tanta la voglia di riaprire dopo un lungo periodo di chiusura forzata come afferma Giuliano Bachetti del ristorante La Locandiera di corso Trieste ad Ascoli «Riapriremo, come abbiamo sempre fatto quando è consentito dal governo, anche se il prossimo weekend sarà arancione. Abbiamo scelto di non fare l'asporto. Bisogna sapersi organizzare al secondo, considerando le continue aperture e chiusure; durante il lockdown siamo stati chiusi per tanto tempo e vogliamo ripartire». Emanuele Alessiani della Trattoria degli Orti di Grottammare dichiara: «Dal 26 ottobre siamo chiusi la sera, con l'asporto che copre il 2% dei nostri incassi, un servizio che stiamo facendo soltanto per andare incontro ai nostri affezionati clienti. I dipendenti sono tutti in cassa integrazione, riusciamo ad andare avanti perché mia madre si occupa della cucina ed io della pizzeria, dunque la nostra è una gestione familiare. Quando possiamo stare aperti a pranzo registriamo il 30% degli incassi della giornata, dato che il sabato e la domenica c'è più d'affluenza. Una volta, con la chiusura decisa all'ultimo momento dal governo, sono andate in fumo 600 euro di spesa. Il problema adesso è il futuro, con la probabilità che il personale oggi in cassa integrazione non sia più disponibile a tornare perché nel frattempo ha trovato un'altra occupazione, dato che hanno delle famiglie da mantenere. Nel 2020 abbiamo lavorato cinque mesi, adesso vedremo come andrà in questo nuovo anno».
Menù ristretti

«I ristoranti non rappresentano il vero problema» è quanto sottolinea Massimiliano Nespeca dell'osteria Cantina di Offida, il quale aggiunge: «Nei ristoranti vengono adottate tutte le misure che sono previste dal protocollo del governo. Certo è che di persone in giro ce ne sono davvero poche, e con queste aperture e chiusure ad intermittenza, previste in base al colore delle varie zone e regioni, non è possibile lavorare con continuità. I menù sono comunque più ristretti rispetto a quelli che proponiamo normalmente, perché in questo modo non ci viene data la possibilità di programmare il lavoro. Era meglio che ci avessero detto di stare chiusi per un determinato periodo, potendo tuttavia contare su degli aiuti economici».
Luigina Pezzoli
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Corriere Adriatico