«Il contagio in reparto Mandati allo sbaraglio»

«Il contagio in reparto Mandati allo sbaraglio»
LA DENUNCIAURBINO «Non respiravo più, non ci riuscivo. Ho preso l'auto e, per guidare fino al pronto soccorso, ho tirato giù tutti i finestrini: avevo bisogno di aria». Tutto...

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LA DENUNCIA
URBINO «Non respiravo più, non ci riuscivo. Ho preso l'auto e, per guidare fino al pronto soccorso, ho tirato giù tutti i finestrini: avevo bisogno di aria». Tutto è cambiato in poche ore. Sabato l'esito positivo del tampone, mercoledì il ricovero. «Avevo avuto un po' di tosse e di dolori articolari, senza febbre. Poi, all'improvviso mi è esploso tutto questo». Ora, ogni parola viene interrotta da un colpo di tosse, ogni silenzio ha un sottofondo di respiro affannoso. A parlare dal letto dell'ospedale di Urbino è un operatore sanitario ora, suo malgrado, paziente Covid della stessa struttura in cui lavora. Un dramma nel dramma, visto che è madre e vive da sola con un figlio piccolo. Nessun nome e cognome. E non solo per una questione di tutela e privacy ma anche perché la sua storia ricalca emblematicamente quella di tanti altri colleghi. «Solo dove lavoro io siamo stati contagiati in 20 - racconta -. La verità è che all'inizio nessuno di noi era stato dotato delle necessarie protezioni: siamo stati mandati allo sbaraglio».

«Ci hanno ascoltato in ritardo»
La normale organizzazione di un ospedale non è adatta a fronteggiare un virus che si trasmette per via aerea e con un alto tasso di contagiosità, anzi spesso fa da centro di diffusione. A dirlo è Pierluigi Lopalco, professore di Igiene all'Università di Pisa e consulente della Regione Puglia per l'emergenza Coronavirus. «Avevo sempre svolto servizio in un altro reparto, poi dai primi di marzo mi hanno detto di andare in Medicina - spiega l'operatore sanitario che lavora a Urbino da diversi anni ma vive in provincia -. Un lavoro estremamente pesante, sei giorni alla settimana, molto diverso da quello che avevo sempre svolto. Sono stata messa davanti a pazienti positivi pur non avendo adeguato materiale di protezione individuale. Tutti noi lo chiedevamo ma non c'era. E non potevamo rifiutarci: è un nostro obbligo e dovere assistere i malati». Intanto, giorno dopo giorno, i positivi in reparto aumentavano. «E tutti noi operatori sanitari, vista l'esposizione, viste alcune sintomatologie, chiedevamo di poter ricevere il tampone ma la direzione sanitaria ha sempre preso tempo - è la sottolineatura con un filo di voce -. La paura era anche per le nostre famiglie. Un incubo, perché era chiaro che con quella organizzazione il reparto non riusciva a controllare i casi che crescevano ogni giorno. Finalmente, dopo le insistenze della nostra coordinatrice, ci sono stati fatti i tamponi e sabato scorso è arrivato l'esito: praticamente eravamo tutti positivi. Ma tutti siamo stati costretti a lavorare nei giorni compresi tra il tampone e il risultato, con pericolo di trasmettere la malattia ad altri colleghi e familiari o ad altri, solo andando a fare la spesa. Una volta attestata la positività nessuno sapeva poi dirci come ci dovevamo comportare». L'operatore sanitario è così tornato a casa: «Non avevo febbre, solo qualche colpo di tosse dolori da qualche giorno - racconta -. Ho un figlio piccolo, non ho altre persone. Poi, mercoledì, mi si è scatenata la tosse ed esploso raffreddore con crescente difficoltà respiratoria. Così ho lasciato mio figlio alla vicina di casa e sono andata al pronto soccorso: la prima Tac ha evidenziato una polmonite».
«Questo ospedale ha cuore»

Da operatore sanitario a paziente. «Sono venuta a Urbino perché credo sia un ospedale dall'enorme cuore, capace di grande solidarietà e con ottime professionalità sanitarie. Chi ci lavora ha dato l'anima in questo periodo per arginare e risolvere le esigenze dei nostri concittadini. Ho paura? Come tutti. Ma ora ho due pensieri fissi: mio figlio, spero che non si ammali. Poi, il lavoro: io come altri ho un contratto a termine, sono precaria, cosa ne sarà di noi? Per molti di noi a breve scadranno i contratti, spero che Asur prenda la decisione di stabilizzare subito, senza altri concorsi, tutti quelli che come me hanno contribuito a dare sostegno all'ospedale al costo di ammalarsi».
Gianluca Murgia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Corriere Adriatico