«Già tre mesi senza stipendio noi della Berloni dimenticati»

«Già tre mesi senza stipendio noi della Berloni dimenticati»
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IL FOCUS
PESARO C'erano anche loro ieri al raduno alla Palla, sperduti tra gli altri lavoratori in sciopero per il mancato rinnovo del contratto nazionale del legno. Non avevano sigle, slogan o bandiere gli operai della Berloni in liquidazione, confusi in mezzo alle delegazioni che un posto in fabbrica ancora ce l'hanno. Un posto che per loro non è più tale da tre mesi: oggi sono senza paga e senza risposte ma con tante, troppe incertezze a galleggiare in un limbo temporale mentre il liquidatore Meloncelli sta valutando le manifestazioni d'interesse ricevute tra marchio e azienda.

La rassegnazione
«Siamo pesci in una boccia d'acqua, costretti a stare fermi mentre i giorni passano e ci si dimentica di noi». Parla uno, parla un altro, parlano in coro. Niente nomi perchè i nomi non servono, chi parla ha il sostegno anche degli altri che annuiscono oscillando la testa. Una parabola iniziata a fine dello scorso novembre con uno sciopero un venerdì mattina, deciso di fretta e furia dopo l'annuncio il pomeriggio precedente della messa in liquidazione. Tre mesi dopo un altro sciopero a cui partecipano per solidarietà e con rassegnazione. «Quel giorno eravamo tutti davanti ai cancelli, sono venuti il sindaco Ricci e il consigliere Biancani. Che cosa hanno fatto per noi? Si sono più visti? Chi si è mosso per aiutarci? Nessuno ci dice nulla di quello che sta accadendo». In realtà incontri ci sono stati, la stessa parlamentare Morani ha chiesto il tavolo di confronto al Mise, ma di fronte alla volontà dell'azienda di chiudere, i margini si sono sfilacciati.
Margini sfilacciati
«La realtà - obiettano - è che tutti sono spariti e a nessuno pare fregare più niente di noi. Siamo abbandonati. Ci dicono che meno parliamo e meglio è, che dobbiamo aspettare che il liquidatore svolga il suo compito, ma forse sarebbe stato meglio montare subito un casino. Chi è senza stipendio siamo noi. Niente paga a dicembre, gennaio, febbraio. Sono tre mesi. Fate i vostri calcoli. Abbiamo ricevuto a malapena una parte della tredicesima e il conguaglio: 800 euro. Provi chi ci vuole silenziosi, pacati e moderati a dare da mangiare alla sua famiglia, a pagare le bollette, il mutuo, i prestiti. A Pesaro gli importa della nostra sopravvivenza?». Provino a tirare a campare e ad arrangiarsi gli altri, a mettersi nei panni di un operaio Berloni e delle sue acrobazie quotidiane per centellinare i risparmi. Lo sfogo collettivo nasce come un rivolo poi monta come i wadi del deserto che non hanno argini. «A novembre eravamo 85, in 22 se ne sono già andati su base volontaria. Forse altri li seguiranno. Perchè è questo che vogliono: prenderci per logoramento. Ci sfiniscono nell'attesa sperando che qualcun altro nel frattempo lasci così il pacchetto da offrire al compratore sarà più leggero e appetibile. Ma perchè devono costringerci a licenziarci?». Una stoccata anche per la proprietà storica, la famiglia Berloni. «L'abbiamo letta tutti la lettera di Roberto Berloni, bella e commovente, anche fin troppo paternalistica. Ma se tiene tanto a noi perchè allora non ci paga almeno quello che ci spetta? Lui o i taiwanesi. Non dimentichiamo che molti di noi sono già passati attraverso il vecchio concordato e c'è ancora chi deve avere soldi. Anche 5mila euro».
Il precedente

Era il 2012: cassa integrazione per 380 addetti e poi il concordato con il riassetto societario del 2014 e l'ingresso dei soci stranieri. Oggi l'azienda è ferma, solo gli uffici sono aperti per disbrighi vari. I sindacati seguono la vertenza e sono consapevoli che più si va avanti e più la matassa Berloni rischia di perdere il bandolo. All'inizio della prossima settimana è previsto un incontro con la Fillea Cgil e il responsabile Giuseppe Lograno: più un momento di confronto e di riassunto delle puntate precedenti che sostanziale. Non è stato chiesto il licenziamento del personale e nemmeno è stata avanzata una richiesta per accedere alla cassa integrazione. Forse si potrebbe tentare quest'ultima strada ma avanti c'è solo un'erta salita.
Simonetta Marfoglia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Corriere Adriatico