ROMA - La creatura si ricongiunge con il suo creatore perché, come dice il suo attuale proprietario, «Le macchine hanno un’anima ed è quella delle...
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Poi ci sono mostri sacri del giornalismo sportivo come Giorgio Terruzzi, Nigel Roebuck e Bob Constanduros e infine Stefano Scalzi, titolare della Motortecnica, l’azienda che ha curato materialmente il restauro del bolide. Non potevano mancare i già citati Paolo Barilla, industriale di chiara fama nonché ex pilota di F1 e vincitore alla 24 Ore di Le Mans nel 1985, e Mauro Forghieri, responsabile tecnico della Ferrari dal 1960 al 1985 e artefice del progetto che avrebbe portato il Cavallino a dominare la massima serie motoristica negli anni Settanta con le celebri 312T.
Ma la monoposto che avrebbe fatto vincere due titoli a Lauda e uno a Jody Scheckter non sarebbe mai esistita senza la 312B e il suo motore: il 12 cilindri “piatto” da 3 litri che restituì al Cavallino la possibilità di competere ai massimi livelli dopo anni di appannamento. Era infatti dal 1964 che il titolo mondiale mancava da Maranello oltre al fatto che le Ferrari erano state battute dalla Ford GT40 a Le Mans per 4 anni di fila, dal 1966 al 1969.
Ferrari aveva respinto le offerte della Ford e aveva aperto le porte alla Fiat. Ora c’erano i soldi, ma ci voleva un’idea e la ebbe Forghieri progettando un’auto innovativa intorno ad un motore che garantiva un baricentro più basso e un’aerodinamica migliore urlando i suoi cavalli con rombo acuto e possente.
La “sveglia”, come racconta lo stesso ingegnere modenese, arrivò con l’arrivo del celebre V8 Cosworth DFV, un motore che tra il 1968 e i 1982 avrebbe vinto 155 gran premi, 12 titoli Piloti e 10 Costruttori con Lotus, Matra, Tyrrell, McLaren, Williams e Brabham senza contare due 24 Ore di Le Mans (1975 e 1980) e altro ancora. Il V12 Ferrari con bancate a 60 gradi, seppure più potente, era pesante, consumava di più ed era anche più fragile. Enzo Ferrari allora prese Forghieri, gli mise una squadra di 4 ingegneri e li rinchiuse tutti in uno studio a Modena dove il Drake passava ogni santo giorno per vedere come procedevano le cose Il risultato fu la 312B, monoposto che Ickx ricorda come «L’auto più elegante nella storia della F1». La 312B nel 1970 fece suoi 4 Gran Premi e uno di questi fu il primo conquistato in carriera da Clay Regazzoni. Nelle corse, si dice, che è bello ciò che vince, ma la 312B entrò ugualmente nei sogni di un giovanissimo Paolo Barilla.
«Era una delle grandi emozioni e suggestioni che mi hanno avvicinato all’automobilismo – ricorda – e nella mia mente di bambino era come un missile, un sogno. Poi l’ho rivista 25 anni fa a Donington e ho ritrovato le stesse emozioni. Allora ho parlato con Mauro e gli ho detto: se tu ci stai, la prediamo. Così abbiamo iniziato questa avventura: l’abbiamo provata, abbiamo verificato le condizioni e poi l’abbiamo risistemata e rifatta come allora. Non avrei mai realizzato una cosa del genere senza di lui: Mauro l’ha fatta una volta e l’ha fatta rinascere».
La 312B acquistata nel 2014 da Barilla è tornata ufficialmente a vivere nel 2016 in occasione dell’edizione storica del GP di Montecarlo, ma non è l’unica, ve ne sono infatti altre due: una apparterrebbe all’ex patron della F1, Bernie Ecclestone, e l’altra allo svizzero Richard Mille, celebre orologiaio nonché collezionista di auto. «Ma questa è in assoluto la più bella – ha dichiarato con giusta fierezza Barilla – perché ci ha lavorato Mauro». L’occhio del padrone infatti ingrassa il cavallo e ancor di più il Cavallino, ma solo lo sguardo del creatore può soffiargli l’anima e dargli di nuovo la vita. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico