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Educare il maschile è un concetto non semplice, ma necessario. Dovrebbe partire dalla prima infanzia, da quando i bambini iniziano a ragionare sulle cose e sul mondo circostante, sulla loro identità. Siamo ancora lontani dal far sì che il maschile possa concedere una posizione paritaria alle donne. Sono stati fatti grossi passi avanti, ma non sono sicuro che il dibattito pubblico e gli eventi di sensibilizzazione vadano di pari passo con la popolazione reale, perché è evidente che esiste ancora un maschile piuttosto rigido rispetto a ruoli e a emozioni. In particolare negli adulti, si fa spesso fatica a parlare di emozioni, a meno che non siano emozioni dalla connotazione più maschile, come la rabbia. Educare è fondamentale. Nelle scuole si fa, ma con interventi piuttosto estemporanei. Servono momenti dedicati ad attrezzare emotivamente i ragazzi. Lo psicologo nelle scuole è una figura importante; ma importante è anche supportarli nei luoghi di dibattito, perché lì si apre il confronto e perché nel confronto va evitata l’aggressività. Serve una alfabetizzazione emotiva: capire che non c’è nulla di male se sono arrabbiato, ma che invece è male se picchio qualcuno perché sono arrabbiato.
IL DISCRIMINE
Il discrimine qual è? Non sfogare la rabbia sull’altro.
RAGAZZI
È la scuola delle emozioni: io capisco che le emozioni hanno diritto di esistere; non hanno diritto di esistere i comportamenti che ledono l’altro. Oggi ce n’è bisogno ancora di più, con la realtà aumentata, con i social e dopo un anno e mezzo di Dad causa Covid. Pesa la mancanza di relazioni, per cui i ragazzi si vedono, scherzano, litigano, prendono appuntamenti: situazioni legate alla scuola, che è anche un format. Se non siamo soddisfati degli adulti di oggi, sarà più difficile con gli adulti di domani, se i ragazzi restano dentro questa impasse.
*Psicologo, psicoterapeuta, vice presidente del Centro di ascolto uomini maltrattanti
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