Il cardinale Menichelli dopo il suicidio assistito di "Mario": «Tutti vittime di una deriva. La vita non è una proprietà fatta di efficienza e bellezza. La legge annulla il reato, non il peccato»

Il cardinale Edoardo Menichelli
Sulla vicenda del senigalliese Federico Carboni/Mario, il primo in Italia ad avere ottenuto il suicidio medicalmente assistito, interviene il cardinale Edoardo Menichelli,...

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Sulla vicenda del senigalliese Federico Carboni/Mario, il primo in Italia ad avere ottenuto il suicidio medicalmente assistito, interviene il cardinale Edoardo Menichelli, già arcivescovo di Ancona/Osimo.


Eminenza, il cristianesimo ci ripete che la vita è un dono di Dio. Ma quando la vita si riduce alla sopravvivenza, come risponde l’uomo di Chiesa? 

 
«Che la nostra vita sia esposta al rischio di situazioni simili a quella che stiamo vivendo, non è una scoperta recente. Fa parte del mistero della vita stessa. Il problema è che oggi si cerca di dare risposte: le soluzioni, che si offrono alla persona che soffre, rischiano di generare una cultura nuova, su cui ci sono troppi elementi su cui riflettere. Non si può pensare che la vita sia una “proprietà”, e non si può accordare la libertà di rinunciarvi volontariamente, come se fosse un bene qualunque». 
Però, parlando in termini di sofferenze, il suicidio assistito darebbe a chi lo chiede la possibilità di liberarsene, perché non più umanamente sopportabili. 
«Della questione si possono osservare differenti aspetti: umano, culturale/etico, sociale e spirituale. Dal punto di vista umano, il silenzio è d’obbligo: nessuno di noi può comprendere fino in fondo quel che avviene in una persona afflitta da situazioni gravissime di sopravvivenza. Il silenzio è un dovere sociale, che va arricchito con la preghiera, la misericordia, il rispetto e la consolazione ai famigliari. Quello che mi inquieta è l’aspetto culturale: quand’è che possiamo affermare che una vita non è più vita? A cosa affidiamo la dignità e la bellezza dell’esistere? Trovo che siamo tutti vittime di una deriva, nella quale la vita - prevalentemente - coincide con la efficienza, il godimento, la salute e la bellezza. Questo è comprensibile, ma credo che dobbiamo convincerci che vivere significa tanto di più. La vita è un grande mistero e nessuno riuscirà mai a comprenderlo soprattutto quando il mistero è quasi “cosificato” e al quale viene tolta la sacralità che la vita porta con sè». 
Più facile, però, è decodificare la sofferenza. Una scelta che deriva dal dolore. 
«Infatti, lungi dal condannare certe scelte, mi spaventa e resto attonito di fronte alla constatazione che alcune persone possano arrivarvi. Mi chiedo, ripeto, se non dipenda dal sentirsi inutili, non più efficienti, di peso agli altri. Non si gioca con la vita al maggior rendimento». 
E dal punto di vista legale, non trova che uno stato laico abbia il dovere di tutelare scelte, che altri, per la fede che hanno, considerano dissennate? 
«Il legislatore è libero di fare una legge. La legge tuttavia non rende eticamente accettabile ogni scelta: toglierà il reato, rendendo legale il suicidio assistito, ma non annulla “il peccato”. La legge umana può annebbiare la coscienza ma non azzerarla. Comunque scelga il legislatore, a noi cittadini resta la libertà della coscienza, e la libertà di far capire che lo Stato non è padrone della vita». 
Ha mai pensato a cosa farebbe se si trovasse in una situazione simile a quella di Mario? 


«Non penserei mai a chiedere di morire. La mia vita non è bella perché sono quello che sono, un cardinale: essa è bella per quello che è, e per quello che comporta, gli acciacchi e la morte stessa, che arriverà quando vuole. Mi permetta di aggiungere che, se ci troviamo a ragionare su questa questione, è anche perché abbiamo perso il senso di vita comunitaria: la comunità sociale, famigliare è, o dovrebbe essere, una custodia, un grembo che consola, e che aiuta le famiglie a fronteggiare ogni dolore». 


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Corriere Adriatico