Resa dei conti nel Pd delle Marche. Gostoli lancia la Costituente, Morani: «Chi perde è fuori»

Resa dei conti nel Pd delle Marche. Gostoli lancia la Costituente, Morani: «Chi perde è fuori»
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ANCONA - Qualcuno l’ha subito ribattezzate l’ar-resa dei conti. Nel senso che a tre mesi dalla sconfitta alle Regionali, i furori e la rabbia si sono già arresi, sopiti e si è rientrati nel tran tran nel quale il Pd è passato quasi senza accorgersene da plenipotenziario in Regione a spettatotore al limite inferiore del comprimario visto lo schiaffo delle vice presidenze (negate/sfuggite) nelle commissioni.

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Ad ogni buon conto: la cronaca della prima direzione regionale del Partito Democratico delle Marche post Caporetto si conclude con la sostanziale condivisione della linea Gostoli. 

 

La costituente

Il segretario dimissionario, cioè, guiderà una sorta di costituente che porterà al nuovo organismo dirigente. Novità, quindi, pochine: lo è stata di certo la votazione via mail alle 21.30 dopo oltre cinque ore di confronto (si è partiti intorno alle 15.30). In molti hanno seguito la linea tracciata da Gostoli che in una relazione di quindici pagine non si è, e non ha, fatto sconti: ha parlato di «un ciclo che si chiude», ha specificato di avere «una responsabilità in più su tutti» in un «percorso compromesso sin dall’inizio, sin dal 2015 quando eravamo già in minoranza». 

La tempesta perfetta

Gostoli ha segnato come inizio del declino il 2008 all’interno di una «tempesta perfetta» in cui si sono generati «un voto di protesta e un desiderio di protezione dei marchigiani: dalla crisi economica, dal terremoto e, infine, dalla pandemia». La verità, dice Gostoli «è che avremmo già dovuto ragionare in passato sulle sconfitte, sui segni di logoramento e su alcune forti lacerazioni tra il nostro partito e la società marchigiana». Cinque i motivi della sconfitta, secondo il segretario: il Pd ha perso credibilità allontanandosi dalla realtà, non ha proposto alternative al modello Marche andato in pezzi, ha perso radicamento. Ma soprattutto «un partito che litiga non può vincere» e infine la crisi del modello politico. Morale: serve un nuovo congresso nella «prima finestra utile». Gostoli ha anche detto che non è stata la destra a vincere ma il Pd a perdere. «Siamo stati travolti più da un voto di protesta che di destra. Per ripartire nella giusta direzione non dobbiamo prendercela con la destra, ma capire la protesta». Lo hanno sostenuto il senatore Verducci, il governatore uscente Ceriscioli, il sindaco di Pesaro Ricci, il neo capogruppo Mangialardi («Giriamo pagina, torniamo in mezzo alla gente»), Badiali, Fulvi, Foronchi, l’ascolano Agostini. 

Le voci più critiche

Anche tra le voci critiche non ci sono state grandi novità: la sottosegretaria al Mise, Morani intorno alle 20 è stata la più dura: «Chi perde si deve dimettere, non può andare avanti. È come dire alla moglie appena separatasi che deve accompagnare il marito fino a che non trova un’altra donna». Duri anche il senatore Morgoni, il neo consigliere regionale Carancini («C’è ancora la necessità di dividere il partito, è una ricostruzione di parte, manca la parte autocritica sull’elettorale»), duro Mastrovincenzo («tre mesi di attesa per un’analisi sono troppi, bisognava prendere esempio da Veltroni e Renzi»). Critiche Bora e la sindaca di Ancona e neo presidente Anci Marche, Valeria Mancinelli intervenuta in due riprese. Disponibile ad accettare la guida da traghettatore di Gostoli all’inizio poi riallineatasi con chi chiedeva un gruppo più inclusivo (un comitato rinnovato che abbracciasse assemblea, giovani e sindaci). Qualche sorpresa alla fine sulla votazione: via mail e soprattutto subito. 

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Corriere Adriatico