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MILANO - «I dati non rispecchiano la realtà delle nostre aziende. Non dicono quello che vediamo noi calzaturieri. La realtà che abbiamo davanti a noi è diversa. Nella nostra sede di Confindustria Fermo le domande per la cassa integrazione si moltiplicano». Mette le cose in Chiaro Valentino Fenni, presidente dei calzaturieri fermani di Confindustria. Un’analisi condivisa anche dalle altre associazioni datoriali del distretto marchigiano che affermano senza mezze misure come la calzatura sia in crisi. I numeri positivi del comparto fotografano una realtà che non c’è più. L’allarme era scattato nello scorso novembre. Quando cominciavano ad arrivare le richieste di cassa integrazione. A presentarle le stesse aziende che solo 5 mesi prima marciavano a vele spiegate. E che cercavano disperatamente personale per poter aumentare la produzione e soddisfare le richieste delle griffe. Ma poi c’è stata una brusca frenata.
I dati e le vendite
Gli ordini hanno prima cominciato a rallentare e poi hanno subito uno stop.
L’inflazione
Per interpretare correttamente i dati bisogna tenere conto dell’inflazione, che ha provocato l’aumento dei prezzi di vendita; i volumi delle griffe del lusso presenti nel territorio, che incidono in maniera notevole. Basta il trasferimento della logistica di un marchio da una provincia all’altra che le statistiche diventano fuorvianti. Gli analisti prevedono che un rilancio del settore non arriverà prima del secondo semestre di quest’anno. Ma nel frattempo? Perfino il clima fin troppo mite che c’è stato fino alla prima settimana di novembre ha inciso in maniera negativa sulle vendite. Se non è freddo e non piove, un paio di sneaker made in Cina o Vietnam basta e avanza.
Per il responsabile di Fermo di Confartigianato Lorenzo Totò: «I mercati stanno vivendo un momento molto particolare, partendo da quello interno che è praticamente fermo. Nel nostro distretto i grandi brand, penalizzati dal calo delle vendite verso Usa e Asia, hanno ridotto l’utilizzo della filiera perché il loro fabbisogno è garantito dalla produzione svolta nei propri stabilimenti». E in un momento di crisi generale, il prezzo del prodotto pesa. Spesso più della qualità. «La concorrenza arriva dalla Turchia, dall’Asia in generale ma anche dall’Europa, dove in paesi come il Portogallo la manodopera costa un terzo della nostra» sottolinea Fenni. La crisi incide anche sul futuro delle imprese. Sulla possibilità di investire sulla digitalizzazione, sulla sostenibilità, sulle innovazioni più in generale.
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Corriere Adriatico