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FERMO - C’è tutto di cui preoccuparsi. Marino Fabiani, titolare dell’omonimo calzaturificio con sede a Fermo, specializzato nella produzione di scarpe eleganti da donna, è da sempre punto di riferimento locale e nazionale del mercato russo e ucraino, essendo stato uno dei primi a percorrere il tragitto Marche-Mosca.
Fabiani, prima la pandemia ora anche la guerra: quanto riuscirà a resistere?
«Da 1 a 3 mesi allo stato attuale. Ho 5mila paia di scarpe in magazzino destinate alla Russia: avrebbero generato un fatturato di 600mila euro.
Qual è il problema principale?
«L’impossibilità di incassare dalla Russia per il blocco delle banche locali dal sistema Swift. Ma anche per la svalutazione del rublo contro euro che rende impensabile poter fare business. Con questo cambio nessun russo comprerà le scarpe nei negozi, e i miei clienti, anche potessero, non hanno i soldi per pagare. Di conseguenza senza incassi la liquidità della mia azienda è destinata a terminare. La situazione è quella del “si salvi chi può”».
Le prossime fiere, come il Micam, potranno dare una mano?
«No perché i buyer russi non verranno. Anche volessero, il costo del viaggio è aumentato moltissimo e poi il rublo, il clima di assoluta incertezza. Hanno altro a cui pensare».
È a rischio la filiera calzaturiera delle Marche?
«Esistono altre aziende nella mia stessa situazione: se non arriverà nuova liquidità il corto circuito sarà inevitabile perché sarà impossibile riuscire a pagare i fornitori di beni e servizi nei prossimi mesi»
E se la guerra finisse oggi?
«Non credo si possa ripartire subito e come prima. I negozi ed i centri commerciali russi si stanno già organizzando per sostituire le produzioni europee con fornitori cinesi e turchi».
Però potrebbe sostituire il mercato russo con un altro mercato.
«Vero, ma è uno switch che richiede del tempo».
Fermerà la produzione?
«Vedremo. Certo è una possibilità».
Altre soluzioni?
«Un aiuto a livello finanziario. Non parlo di soldi ma di proroga delle scadenze dei debiti con banche e fornitori. La politica parla sempre di difesa del made in Italy. Ora c’è l’occasione per dimostrarlo con i fatti».
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Corriere Adriatico