Flagellazione marchigiana, o la piantiamo o la finiamo: basta con la autodenigrazione quotidiana

Il centro storico di Ancona
Vivere nelle Marche inserito nella lista degli sport estremi. Forse è da questo vecchio titolo del blog satirico Lercio che bisogna partire per chiedersi da dove derivi la...

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Vivere nelle Marche inserito nella lista degli sport estremi. Forse è da questo vecchio titolo del blog satirico Lercio che bisogna partire per chiedersi da dove derivi la sindrome tutta marchigiana di autodenigrarsi, la straordinaria capacità di non vedere proprio il bicchiere, figurarsi se mezzo pieno.

 

Due esempi recenti. La sanità, con una parossistica ricerca di altri sistemi che alla prova de fatti solo in poche occasioni si dimostrano migliori, come testimoniano ricerche indipendenti. Ma anche, per cambiare verso, il volto cinematografico di questa regione: siamo sempre la terra del terremoto, di quelli strani, dal grande cuore, certo, mai normali.

È vero che la retorica dell’eccellenza, nelle Marche, ha prodotto più danni della grandine, ma è proprio la necessità di normalità che spinge a dire: basta. Basta con il darsi ogni volta la zappa sui piedi quando si parla di questa regione. Non è vero che è un lascito leopardiano, o la terragna origine mezzadrile, è l’incapacità di rapportarsi con il presente in maniera laica e senza pregiudizi.

Lo sappiamo, ci sono cose che non vanno, ci sono sacche di arretratezza che pesano sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, ma non possiamo continuare a portarci sulle spalle questo fardello di negatività, che è prima un alibi, poi un freno.

Non vuol dire nascondere le criticità, che pure questa terra ha sofferto e soffre, semplicemente fare propria la conclusione che Calvino dedicò, parlando di leggerezza, all’affacciarsi nel nuovo secolo: vi troveremo nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi. Ecco, o la piantiamo o la finiamo: nelle Marche che ci sono da fare, la flagellazione buttiamola via.

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Corriere Adriatico