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ANCONA - Si accendono roghi, con legna e pneumatici, esplodono petardi, sventolano slogan di rabbia. «Stop alle follie della Ue» urlano gli agricoltori che, arrivati da tutta Europa, bloccano Place de Luxembourg. Il dissenso infiamma le strade di Bruxelles, si sposta davanti ai palazzi del potere comunitario. «Basta terreni incolti», al coro si unisce la voce di Luca Gaddoni.
Il verde del logo Coldiretti su campo giallo, quello del giaccone, è la sua fotografia. Il giovane militante arriva da Ancona. «È importante esserci - guai a rinunciare ai moti di popolo - perché dall’Unione europea nascono le regole che incidono sul mondo agreste, è da qui che la protesta può trasformarsi in risultati concreti». Alle sue spalle si staglia la mega-ruota d’un trattore, simbolo e sostanza di quell’esercito in rivolta. La sua immagine farà il giro dei social, come pure le sue convinzioni. «L’agroalimentare italiano e marchigiano - si vanta - è un settore che fa della qualità, del rispetto dell’ambiente e della sicurezza alimentare una bandiera». Carica: «Questa è una battaglia per garantirci dignità e giusto reddito». Su un grande striscione è impressa l’amarezza di tutti: francesi, tedeschi, portoghesi, spagnoli, italiani. Marchigiani.
Il danno
Basta storture.
L’annuncio
La sommossa di piazza colpisce la Pac, la Politica agricola comune, e il Green Deal, il Patto verde europeo. «C’è anche una nostra delegazione. Questa - avverte - non sarà l’unica protesta. L’abbiamo organizzata da settimane». Nulla di improvvisato per un tema considerato tra i più scottanti: il 4% dei terreni a riposo. «La percentuale è prevista dalla nuova Pac 2023-2027: nelle Marche significa 15mila ettari da non coltivare. Quel limite - ricorda - era già compreso nel precedente documento. Allora chiedemmo la proroga, in occasione dell’esplodere della guerra Russo-Ucraina: l’insorgere di quel conflitto aveva messo in evidenza la necessità, da parte dell’Europa, di rendersi autonoma nell’approvvigionamento alimentare». Alza il tiro, la leader dell’organizzazione che dà voce all’80% dei coltivatori locali. «Ora - incalza - ne chiediamo proprio l’abolizione. Le battaglie contemporanee, con i continui blocchi commerciali, la rendono essenziale». Stop all’agricoltura romanzata, va ripetendo la Gardoni. «Quel 4% per scopi ambientali, per non sfruttare i terreni? Al contrario, vanno coltivati per servire la filiera alimentare». Intollerabili, per lei, sono gli eccessi. «Il punto di vista è sbagliato, l’approccio. Innanzitutto si deve sfatare il fatto che gli agricoltori siano gli unici fautori dell’inquinamento. Si sono già assunti le loro responsabilità. Noi siamo sotto i parametri europei per i residui chimici negli alimenti. L’Italia è al top in Europa per le coltivazioni biologiche. Le Marche sono tra le prime tre regioni in Italia». I cartelli, nelle vie della contestazione, si mescolano ai fumogeni e il Green Deal fa rima con minaccia. «Ci chiedono di arrivare a raggiungere certi traguardi in pochissimi anni e senza sostegno. Pretendono da noi la riduzione dei fitofarmaci, intorno al 55-60%, ma i mezzi tecnici alternativi sono pochi e scarsamente accessibili».
La filiera
La marcia dei trattori procede, lenta e inesorabile. Gabriele Di Ferdinando ne asseconda le mosse. Tutte: «Quando vengono tolti sussidi o abolite esenzioni Irpef per il settore, l’agricoltore è costretto a vendere sottocosto e anche tutte le restrizioni ambientali e le spese connesse ai cambiamenti climatici e ai disastri ambientali ricadono solo sulla produzione primaria». Resetta, il presidente dell’Unione Agroalimentare Cna Marche: «È necessario rimettere i coltivatori al centro della filiera, al riparo da speculazioni finanziarie che premiano solo le aziende più grandi e le multinazionali». S’infuocano roghi, esplodono petardi, sventola la rabbia.
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Corriere Adriatico