Il Mezzogiorno è dietro l’angolo Cortesemente cambiamo passo

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Considerare le Marche l’avamposto del Mezzogiorno non è...

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Considerare le Marche l’avamposto del Mezzogiorno non è un complimento, con tutto il rispetto per mare, sole, pizza e cannoli. Però questo siamo, dopo cinque anni passati a dimenticare per strada credibilità, peso, aziende, banche. Regione virtuosa e splendida, piagata ma non piegata dal terremoto, ha smarrito la storica capacità di bastare a se stessa: trasporti da Bangladesh, meno lavoro, soldi e sicurezza, molta rabbia, sprazzi di sconvolgente violenza. Così il treno del Paese che produce e non si fa assistere è diventato un puntino lontano dietro il tornante, l’ago della bussola orientato a sud anziché a nordest. Risultato: il Pil regionale che cresce meno della media nazionale e M5S che sfrutta il disagio italiano abile a trasformarsi da preda a predone. Se da Pesaro a Enna è calata la mannaia di Di Maio, nelle Marche la palla da bowling a 5 stelle ha spianato la concorrenza nei collegi uninominali (8 su 9 con lo strike alla Camera: 6 su 6), aggiungendo altri 6 seggi nel proporzionale per un totale di 14, più del triplo del 2013. A sicurezza, immigrati e terremoto ha pensato l’altra faccia della stessa medaglia, la Lega che non fa prigionieri e candida il sindaco di Visso, tempio della ricostruzione a puntate del sisma, e vince con Patassini a Macerata, issata a luogo simbolo. La Regione rossa non è più neppure rosa, il Pd ha pensato a riempirsi la pancia di errori e i risultati sono in sintonia con le dimensioni del suo ombelico: un buchino nero. Da un’elezione politica all’altra sono evaporati 70mila elettori democrat, complici liste farcite di mediocri inconcludenti, fino al goffo tentativo di aggrapparsi (senza successo) a guest star chiamate da fuori. Così il miglior ministro degli interni della storia recente si è schiantato a Pesaro, terzo in una corsa a tre. Se le Marche sono una regione divisa alla fonte, il Pd ne è la rappresentazione plastica: liti, risse, pollai, vendette, agguati, in un patetico tentativo di giustificare la propria esistenza, come il cane stolto che prova a mangiarsi la coda. Il tempo sta per scadere, è ora che la classe imprenditrice abile con la matita blu a sottolineare gli errori altrui scenda in campo, se alle Marche tiene davvero. Non basta pontificare nelle stanze dei bottoni e dalle tv dopo essersi truccati, servono mani sporche e un passo avanti. Che il merlonismo è finito. E il mezzogiorno ci mette un attimo a diventare mezzanotte.
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Corriere Adriatico