Coronavirus, Alessandra racconta il suo dramma: «Mio marito è intubato e io sono isolata con due figli»

L'ospedale di Torrette
SASSOFERRATO  - Per Alessandra M. non è facile parlarne. Lo fa quasi per dovere, per dare un’informazione che in tanti stanno chiedendo: in casa il cellulare...

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SASSOFERRATO  - Per Alessandra M. non è facile parlarne. Lo fa quasi per dovere, per dare un’informazione che in tanti stanno chiedendo: in casa il cellulare bolle. Al telefono, non ha più quel tono pimpante della scorsa settimana ma risponde con la voce stanca e fioca. Vicino a lei ci sono le sue due bimbe. Del papà che è stato ricoverato in un ospedale, perché risultato positivo al Coronavirus, sanno tutto, come sanno che non possono vederlo perché con la mamma sono in quarantena. «Sabato scorso – racconta Alessandra – mio marito è stato portato via in ambulanza. Noi siamo rimasti a casa, perché forse era coronavirus, pertanto nel dubbio era meglio isolarci. Poi domenica la risposta positiva del tampone e il trasferimento ad Ancona nel reparto di Malattie infettive dove riuscivo a comunicare con lui. Questo fino a venerdì, quando è stato deciso di trasferirlo nel reparto di terapia intensiva e d’intubarlo per aiutarlo a meglio combattere il virus che era stato identificato. Adesso è stabile ed è curato con un cocktail di farmaci: sta reagendo molto bene alle terapie». Alessandra, da mamma attenta, prova a filtrare il più possibile l’angoscia dell’attesa: «Le mie bambine sentono che parlo con i dottori che per fortuna, con dovizia di dettagli, m’informano su quello che sta succedendo». Le giornate sono lunghe, la notte lo sono ancora di più. «Dormo poco. Non nascondo che sono in ansia, ma so che tutto andrà bene. Devo pensare così. Il peggio è non poterlo vedere, non poter parlare con lui, non poter constatare da sola cosa sta succedendo. Essere isolata fa dilatare le paure, aumentare in un modo spropositato l’angoscia, mette ancora di più l’accento su quanto siamo tutti impotenti».


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A tenerla collegata con la realtà è la voce di una dottoressa che due volte al giorno l’aggiorna sullo stato di salute di suo marito. «È la luce nel buio. Ho una totale fiducia nell’équipe. So che prendono le decisioni giuste per salvare la vita a mio marito». Le bimbe in cucina, in sala, in camera fanno i compiti. «E non sono pochi – sottolinea Alessandra -. Poi ci sono i disegni, la tv, i cartoni, i film, i giochi da tavolo. Le telefonate con le amichette, con i nonni, gli zii. I cibi del cuore. Addolcire le regole aiuta e molto. In fondo, meno severità, meno rigidità aiuta loro e anche me». Ringrazia i tanti che non smettono di chiedere informazioni anche se «a volte se ne potrebbe fare a meno ma in fondo, quest’epidemia la viviamo tutti insieme. Siamo tutti isolati. Noi sicuramente più degli altri. Non possiamo uscire nemmeno per fare la spesa e poi ci manca un membro della nostra famiglia. Viviamo fiduciosi di riuscire a tenere tutto sotto controllo, anche se in realtà, purtroppo, nel caso nostro non lo è ancora». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico