Lo sfogo di un commerciante: «Caro Conte, la vedo molto dura. Il mio bar è già in vendita»

Lo sfogo di un commerciante: «Caro Conte, la vedo molto dura. Il mio bar è già in vendita»
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ANCONA - Un cartello sulla serranda del suo negozio: «Chiuso. Forse riapriremo, siamo nelle mani dello Stato», con quel “forse” sottolineato due volte. E poi una lettera su Facebook, indirizzata al premier Giuseppe Conte. «È inutile che rinviate i pagamenti, la vedo dura per chi, come me, incassa oggi per pagare domani. La mia attività è già in vendita: almeno voglio cadere in piedi». Il dramma del Coronavirus è doppio per chi, come Daniele Donati, gestisce un’attività.


I piccoli commercianti devono fare i conti non solo con l’emergenza sanitaria, ma anche con le ripercussioni economiche che subiscono in prima persona. «Se non guadagno, non mangio né posso pagare l’affitto che già i proprietari dello stabile mi hanno chiesto: di questo passo sarò costretto a vendere tutto, ammesso che trovi un acquirente» è l’amara considerazione del titolare del Papero Bar di corso Carlo Alberto. Il locale è off limits da quando il decreto-Conte ha spento le luci a tutte le attività di ristorazione d’Italia fino al 3 aprile, ma è concreto il rischio che la chiusura obbligata venga protratta ancora. Preso dalla disperazione, Donati ha impugnato la tastiera, è andato su Facebook e ha buttato giù una lettera rivolta idealmente al Governo. 

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«Caro Conte, scrivo a lei perché è il punto di riferimento - comincia così il messaggio -. Ho un’attività e come tante altre è stata fatta chiudere giustamente per l’emergenza sanitaria. State rinviando i pagamenti, rimborsate 600 euro una tantum, ma ancora non sappiamo quando riapriremo. Qui non si tratta di rinviare i pagamenti, ma di bloccare gli affitti per tutto il tempo in cui si sta chiusi, cancellare i contributi, le tasse e tutti i pagamenti, altrimenti ci ritroveremo ad avere bollette doppie e triple che non riusciremo a pagare lo stesso. La vedo molto dura per chi come me vive alla giornata e incassa oggi per pagare domani». Poi, l’annuncio choc: «La mia attività è già in vendita». Il titolare del Papero Bar mai vorrebbe arrivare al punto di mollare, «ma se si va avanti così, dovrò farlo - spiega -. I proprietari mi hanno già chiesto l’affitto di marzo: 2.000 euro. Come li pago, se non incasso? Lo Stato forse mi darà 600 euro: e che ci faccio, se ne spendo 700 solo di corrente? Senza contare che ho tre persone che dipendono da me, tra cui le mie sorelle. Se non si trova una soluzione, alla prima azione legale andremo a gambe all’aria, fermo restando che condivido la scelta di far chiudere i locali per l’emergenza sanitaria: ma allora perché la fabbriche continuano a restare aperte?». Non solo i titolari di bar e ristoranti, ma tutto il popolo delle partite Iva è insoddisfatto per un decreto Cura Italia giudicato da più parti non adeguato al danno subito dai professionisti a causa dello stop da Coronavirus e definito dalla stessa Confartigianato di Ancona “un’aspirina”, più che un rimedio alla crisi. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico