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L'urgenza è sempre stata il suo mestiere. Essere sul pezzo, nel posto giusto al momento giusto, fronteggiare l'emergenza e venire incontro ai bisogni di chi è in difficoltà, da primo cittadino di Tolentino come da infermiere. Se tre cifre bastassero per iscrivere al loro interno una vita, sarebbero proprio quelle del 118, il servizio d'emergenza, a rappresentare Mauro Sclavi e il suo duplice impegno, civile e professionale. Perché la vita è adesso e niente può aspettare o scalfirla. Non ha dubbi Sclavi, non ci sono né se né ma. E, soprattutto, non c'è perché che regga: è così perché così deve essere.
La gioventù
Una simile risposta, quella che lo descrive in toto e rappresenta a pieno con pochi essenziali tratti ciò che è, nella perentorietà della sua sintesi e concentrazione, all'uomo di oggi calza a pennello: senza deviazioni, va dritta al punto e lo restituisce nella totalità di un impegno a tutto tondo e sul campo per tutti. Ma al bambino di allora, tutta quella estrema, potente e imperscrutabile asciuttezza sarebbe andata giù? Avrebbero quelle poche, essenziali, smilze parole, quelle che non lasciano spazio a nulla che non sia un appiglio per un'altra domanda, soddisfatto la sua curiosità, la voglia inesauribile di sapere di quel bimbo che, cavalcando tra i ricordi, l'uomo di adesso chiama il «ragazzo-perché»? Sclavi ride: quell'espressione è il ricordo e insieme l'eredità più bella di «un'infanzia genuina vissuta da figlio unico e gambe in spalla, a spasso per la natura a osservare e domandare.
Il teatro
È stato così per Mauro e quella passione per il teatro scoppiata per caso alle superiori ma diventata un grande amore per la vita: «Erano i primi anni della compagnia della Rancia e bussai alla loro porta seguendo due amiche che si erano iscritte al corso di recitazione, giusto per vedere e curiosare. Mai avrei pensato all'orizzonte che mi si sarebbe spalancato davanti: fu un'esperienza incredibile, di una potenza e bellezza senza pari. Ricordo ancora le lezioni dell'insegnante Marina Garrone: sapeva traghettarci in un mondo in cui potevamo essere chiunque, senza vincoli e difficoltà, perdutamente innamorati del teatro e del suo linguaggio».
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