MACERATA - Marco Valerio Verni, avvocato della famiglia di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa e fatta a pezzi, stando alla sentenza di primo grado, da Innocent...
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La scorsa settimana il giudice per le indagini preliminari di Macerata ha archiviato la vicenda in questione, sostanzialmente, per il difetto di querela che, al dunque, non sarebbe potuta essere presentata da nessun altro (né dall’amministratore di sostegno, né da un eventuale curatore speciale), se non dalla stessa Pamela. «Pamela che - sottolinea il legale, che è anche zio della ragazza -, come tutti sappiamo, è stata uccisa nei noti e tragici accadimenti di via Spalato, come accertato in primo grado dalla Corte di Assise di Macerata, il giorno seguente a quello in cui si sarebbero invece svolti i fatti in discussione». Verni, mercoledì sera, è stato anche ospite di Bruno Vespa a Porto a Porta su Rai Uno.
«Eravamo preparati a questo esito. Purtroppo, anche con riguardo a questa vicenda, la storia di questa giovanissima ragazza ha dimostrato di essere uno sfortunatissimo “unicum” - spiega Verni in un lungo post su Fb -. Quante volte capita, infatti, che una persona, vittima di un presunto reato, muoia il giorno successivo, per altri fatti ancora, senza aver avuto né il tempo né il modo di sporgere la relativa querela?»
L’avvocato Verni si rivolge quindi alla politica: «Ora, occorre ripartire da un passaggio importante della stessa ordinanza di archiviazione, in cui il giudice ha evidenziato il difetto normativo che, in casi come questi, impedisce di fatto a terze persone rispetto alla vittima (come i suoi familiari) di un presunto reato come quello per cui si procedeva di cercare e, magari, ottenere giustizia, non potendo essi, allo stato dei fatti, sostituirsi alla suddetta nella presentazione della querela, il cui diritto, come noto, si estingue con la morte della persona offesa. Che le forze politiche, ora, nelle opportune sedi, colmino questo vuoto, di modo che, nella malaugurata ipotesi dovesse ripresentarsi un episodio simile, non venga negata ai familiari la possibilità di adire autonomamente le vie giudiziarie, per indagare fino in fondo l’eventuale commissione di un reato così grave ai danni di un loro caro. Un caso difficilissimo da replicarsi, fortunatamente, ma che è capitato, purtroppo e che, dunque, deve servire in qualche modo da “leading case” nell’ottica della futura produzione normativa, affinchè non accada ad altri. Che la vicenda di Pamela serva anche a questo». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico