Cartellone contro l’ex ministro Kyenge. I giudici della Corte d'Appello: «Non ci fu odio razziale»

Tommaso Golini
MACERATA - Cartellone con la scritta «Kyenge torna in Congo», per i giudici della Corte d’Appello non c’è discriminazione razziale. Confermata la...

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MACERATA - Cartellone con la scritta «Kyenge torna in Congo», per i giudici della Corte d’Appello non c’è discriminazione razziale. Confermata la condanna per diffamazione all’ex ministro. Golini: «Andremo in Cassazione, ma oggi è stata scritta una bella pagina sulla libertà di espressione in Italia».

 

 
La sentenza dei giudici dorici è arrivata nel pomeriggio di martedì, i magistrati della Corte d’Appello hanno riformato parzialmente la sentenza emessa dal tribunale di Macerata ad aprile del 2019 assolvendo Tommaso Golini, all’epoca dei fatti coordinatore provinciale di Forza Nuova, dall’accusa di propaganda di idee fondate sull’odio razziale, nazionale, etnico e religioso. Il collegio ha tuttavia confermato la condanna inflitta in primo grado per diffamazione in merito al contenuto del cartellone. La difesa, sostenuta dall’avvocato Mario Giancaspro del foro di Perugia, ha annunciato ricorso in Cassazione una volta lette le motivazioni che saranno depositate tra 15 giorni.
Il fatto contestato risale al 9 maggio del 2013 quando in via Spalato a Macerata vicino alla sede del Pd venne affisso un manifesto con la scritta «Kyenge torna in Congo». A seguito delle indagini emerse che il presunto autore di quell’affissione fosse l’allora coordinatore Golini a cui vennero contestati i reati di propaganda di idee fondate sull’odio razziale, etnico e religioso e diffamazione aggravata. La sentenza di primo grado arrivò sei anni dopo, ad aprile del 2019 quando i giudici del collegio maceratese condannarono Golini a 1.500 euro di multa e al pagamento di una provvisionale di 2.000 euro all’ex ministro Cecile Kyenge oltre a 2.500 euro di spese di costituzione di parte civile sia al legale della Kyenge sia al legale dell’associazione Arci (anch’essa parte civile).


«La Corte d’appello ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Macerata, nell’ambito di un procedimento penale che si protrae da otto anni - ha dichiarato Golini - che, sommato alle altre infondate accuse dell’incendio al negozio africano e alle scritte a sfondo razziale in via Prezzolini del 2015, ha fatto invano cianciare di razzismo una moltitudine di variopinte sigle, associazioni cittadine nonché esponenti dell’attuale esecutivo, tra cui addirittura un ex presidente del consiglio dei ministri e un ex presidente della Camera. Pensavo che solo nei regimi totalitari si potesse ricevere un trattamento del genere da parte dello Stato, invece mi sembra di aver compreso che in Italia quando si sente pronunciare la parolina magica razzismo si possono innescare meccanismi repressivi che nulla hanno da invidiare alle logiche inquisitorie che caratterizzavano i processi del Tribunale del Sant’Uffizio. Appare poi a mio avviso doverosa una riflessione politica sulla legge Mancino, che reputo liberticida, eccessivamente lacunosa sul piano della determinatezza della fattispecie penale, che lascia troppi margini di discrezionalità a interpretazioni fantasiose da parte delle procure e della polizia giudiziaria. Tuttavia – ha concluso Golini – credo che oggi sia stata scritta una bella pagina sulla libertà di espressione in Italia».

 

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Corriere Adriatico