Infiltrazioni mafiose, testimonianze a Porto San Giorgio: «Occhio ai segnali, a rischio anche le province tranquille»

Infiltrazioni mafiose, testimonianze a Porto San Giorgio: «Occhio ai segnali, a rischio anche le province tranquille»
PORTO SAN GIORGIO - Il radicamento della mentalità mafiosa nella tranquilla provincia italiana. Se ne è parlato in teatro nel convegno moderato dal giornalista...

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PORTO SAN GIORGIO - Il radicamento della mentalità mafiosa nella tranquilla provincia italiana. Se ne è parlato in teatro nel convegno moderato dal giornalista Stefano Baudino. L’incontro si è aperto con i saluti del sindaco, Valerio Vesprini: «Il primo passo per abbattere la mentalità mafiosa - ha detto - è parlarne alla luce del sole, senza paura, tra la gente».

 
La scaletta
«Come Camera di commercio - ha rimarcato un consigliere intervenuto al posto di Gino Sabatini - sappiamo capire l’andamento economico del territorio. Eventi come l’embargo russo, il terremoto, la pandemia hanno condizionato l’azione imprenditoriale, con ripercussioni nel credito e conseguenti infiltrazioni mafiose spacciate per aiuti agli imprenditori in difficoltà. Abbiamo fatto appelli allo Stato e alla Regione per non lasciare sole le imprese».

Fra i relatori Luigi Piccirillo, consigliere regionale della Lombardia e membro della Commissione antimafia,: «Dovete chiedervi - ha rimarcato - perché la mafia non spara più ma continua a fare affari. Dobbiamo essere cittadini attivi e formati su questi temi. Da sola, l’antimafia non ce la fa. È importante riuscire a riconoscere il fenomeno mafioso. Fenomeni come l’apertura dal nulla di negozi o locali vistosi, o repentini cambi di società, possono essere elementi di sospetto. Ognuno deve fare la sua parte e denunciare».

Toccante la testimonianza di Luana Ilardo, figlia di un ex boss di Cosa nostra, confidente di giustizia ucciso nel ‘96: «L’omicidio di mio padre - ha ricordato - è stato una delle tante offese subite dalla nostra Repubblica. Una metà di me è morta con lui. Quello che è accaduto a mio padre, è strettamente legato alle stragi di Falcone e Borsellino. Mio padre, dopo aver scontato per intero la sua pena, per non tornare a fare la vita di prima, ha iniziato a collaborare. Mio padre avrebbe dovuto fare l’infiltrato in Cosa nostra, con l’obiettivo di far arrestare Provenzano e nonostante avesse scoperto dove si nascondeva, nessuno andò ad arrestarlo. E invece mio padre fu assassinato». Barbara Lezzi, senatrice ed ex ministro per il Sud, ha poi ribadito che «la mafia è una questione di segnali che bisogna saper leggere. Non è normale, ad esempio, alzare il tetto del contante a 10mila euro: si finge di dare sostegno al commerciante ma si favorisce chi ha altri interessi».


L’impegno


«Sono arrivato in Calabria - ha detto poi Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione parlamentare antimafia - per lavorare in un istituto scolastico, a Cosenza, nel 1988. Mi sono scontrato con la mentalità mafiosa, dove per avere lo stipendio si paga con il punteggio. Io ho denunciato e ho avuto i miei colleghi contro. Ma lo Stato siamo noi». Durante la sua testimonianza ha parlato delle tante declinazioni del fenomeno della mafia, del radicamento del traffico di droga che porta alla dipendenza dei giovani e anche alla dipendenza dal gioco. Morra ha esortato ad essere sentinelle sempre attente, a non fare finta di nulla quando vengono rilevate strutture alberghiere per cifre che sono tre volte il prezzo di mercato.

 

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Corriere Adriatico