Olena e le altre, al porto il bus con i profughi: «Siamo salvi per miracolo. Ma vogliamo tornare presto in Ucraina»

Olena e le altre, al porto il bus con i profughi: «Siamo salvi per miracolo. Ma vogliamo tornare presto in Ucraina»
FERMO - Piange Olena, quando racconta del marito e del padre rimasti in Ucraina. Da qualche minuto, dopo due giorni di viaggio in autobus, è arrivata a Porto San Giorgio....

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FERMO - Piange Olena, quando racconta del marito e del padre rimasti in Ucraina. Da qualche minuto, dopo due giorni di viaggio in autobus, è arrivata a Porto San Giorgio. Ha la faccia stanca, i capelli raccolti in una coda e un piumino rosa. Mercoledì ha lasciato il centro di prima accoglienza di Tomaszow Lubelski, in Polonia. Assieme a lei, ieri a mezzogiorno nel porto peschereccio, da diverse parti dell’Ucraina, sono arrivate altre 33 persone, tutte donne e bambini. Si tengono per mano, per non perdersi a vicenda.

 


Gli guardi smarriti e gli occhi bassi di chi ce l’ha fatta e non se ne rende ancora conto. Qualcuno ha una o due valigie con sé: quel poco della vita di prima che è riuscito a portarsi dietro. «L’Europa è casa vostra. Quindi, anche qui è casa vostra, ma dovete tornare in Ucraina, perché significa che la guerra è finita», le parole del sindaco Nicola Loira, mentre accoglie i profughi, «tra le vittime degli orrori che quotidianamente vediamo nella loro patria». Arrivati con un pullman di Marche Magiche, l’associazione di Lauro Salvatelli che ha risposto alla richiesta di aiuto di una donna polacca vissuta per dieci anni a Porto San Giorgio.


«Ci ha detto che il centro di Tomaszow Lubelski, che si trova a 60 chilometri da Leopoli, non ce la faceva più, perché c’erano più di mille persone. Siamo partiti subito e arrivati martedì», racconta Salvatelli ricostruendo gli ultimi giorni. Ricorda, in particolare, «la diffidenza delle donne che ci guardavano sedute sulle brandine». Prima di mettere in mano a degli estranei la loro vita e quella dei figli, volevano sapere dove le avrebbe portate quell’autobus su cui sarebbero salite. E che vita le avrebbe aspettate una volta arrivate a destinazione. Tanti dubbi, dissolti al ricordo delle bombe e del terrore di non farcela. E una certezza: «Siamo vivi e siamo qui. È un miracolo. Non possiamo credere a così tanta bontà. È bellissimo, ma vogliamo tornare a casa il prima possibile», dice Olena.


Lei è di Kiev e in Polonia è arrivata con la Croce Rossa, che l’ha caricata a Leopoli, dov’era arrivata con un treno militare. Olena non parla inglese. Per farsi capire, si affida a Natasha, ucraina anche lei, da ventidue anni a Porto San Giorgio. Alle voci di queste madri che hanno lasciato tutto in patria per salvare le loro vite e quelle dei figli si mischiano quelle dei piccoli. Giocano con i palloncini colorati dei clown di Marche Magiche. Sgranano gli occhi davanti alle bolle di sapone giganti. Si rincorrono. Fanno quello che i bambini dovrebbero fare, lontano dalla guerra. In un angolo, appoggiato a terra c’è un trasportino. Dentro, un gatto di quelli senza peli annusa l’aria. È di una donna che non se n’è voluta separare. «Ha paura», dice, mentre gli fa una carezza attraverso la grata. Uno dopo l’altro, i 34 profughi arrivati in provincia vengono controllati dal personale dell’Asur. Poi, tocca ai tamponi per il Covid. Il pranzo l’hanno preparato la Protezione Civile e l’associazione dei pescatori.


La sosta al porto peschereccio della città finisce lì. Poco dopo, 19 profughi partono verso le loro nuove case. Si tratta delle abitazioni che sono state messe a disposizione da famiglie di Porto San Giorgio, Fermo, Campofilone e Falerone. Gli altri 15, tutti della stessa famiglia, vivranno in quattro Cas (centri per l’accoglienza straordinaria), a Fermo. Tutti, nei nuovi alloggi, sperano di restarci il meno possibile e di poter tornare presto a casa. Alla vita di prima.

 

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Corriere Adriatico