Fermo, salvati da un gesto d'amore Testimonianze al premio Biancucci

La premiazione al Liceo scientifico
FERMO - Sono Juri Falcioni, Liceo Artistico di Porto San Giorgio, Matteo Sonaglioni del Montani di Fermo, Martina Amurri e Esmeralda Hetaj del Carducci Galilei di Fermo, i tre...

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FERMO - Sono Juri Falcioni, Liceo Artistico di Porto San Giorgio, Matteo Sonaglioni del Montani di Fermo, Martina Amurri e Esmeralda Hetaj del Carducci Galilei di Fermo, i tre vincitori dell’ottava edizione del premio Matteo Biancucci, rispettivamente nelle categorie pittorico fotografica, multimediale, e letteraria. Per quest’ultima sezione è stata fatta una menzione di merito fuori concorso a Nikola Sarnecka, Liceo artistico di Fermo.


Il concorso è nato otto anni fa in seguito alla generosità dei genitori di Matteo Biancucci, che hanno deciso di donare gli organi del loro figlio quindicenne scomparso a causa di un incidente stradale. Ogni anno si cerca di «coltivare la cultura della donazione, segnale di amore e generosità di una persona che non è più con noi e verso chi, ricevendo, può tornare a vivere», spiega Marzia Ripari, preside del Liceo scientifico, dove si è svolta la premiazione.

Voluto dall’Aido per sensibilizzare i giovani degli istituti superiori che partecipano al concorso, il premio Biancucci gode della collaborazione anche dell’Avis, dell’Admo e del Rotary. Gli studenti si sfidano sempre più numerosi in questo concorso, dimostrando, tra l’altro, di saper cogliere bene il significato di quanto loro comunicato. I donatori, lo fanno con gioia, nessuno li costringe.

«Nessuno ti obbliga a donare, se lo si vuol fare si fa con gioia», racconta chi da giovane ha dato il suo midollo per salvare la vita di un giovane o ha donato il cordone ombelicale dopo aver partorito. «Il dolore non si cancella, ma sapere che una parte di mio figlio vive in sette persone, mi dà conforto», spiega la mamma di Roberto, altro giovane scomparso prematuramente.


Chi riceve non può che ringraziare il proprio donatore, che non conoscerà mai, ma che gli ha permesso di tornare alla vita. «Nel 2000 ho avuto un infarto miocardico che mi ha devastato il ventricolo sinistro – racconta il signor Francesco –: dopo 55 giorni al Lancisi di Ancona ho rischiato di morire a Milano, ma è arrivato un cuore, e ora faccio tutto, compreso il coltivare i miei hobby». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico