Fermo, don Vinicio scrive ai figli degli stranieri: «Ragazzi, pazientate»

Fermo, don Vinicio scrive ai figli degli stranieri: «Ragazzi, pazientate»
FERMO - «Carissime e carissimi ragazze e ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, fortunatamente pochi di voi hanno visto la discussione al Senato sulla nuova legge per...

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FERMO - «Carissime e carissimi ragazze e ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, fortunatamente pochi di voi hanno visto la discussione al Senato sulla nuova legge per il riconoscimento della cittadinanza italiana».

Si apre così una lettera aperta di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri relativa al dibattito sullo ius soli. «Siate pazienti - è l’esortazione -: avete dalla vostra parte la storia. Domani sarete benedetti perché potrete lavorare e così contribuirete alla ricchezza della nostra Italia, aiutando a pagare tasse e le pensioni ai nostri e ai vostri nonni. Succede sempre così». Don Vinicio invita i ragazzi a essere bravi studenti e a integrarsi: «Il futuro dipende anche da voi», evitando di chiudersi «a riccio, perché sarebbero pericolosi gruppi contrapposti».

Il presidente della Comunità di Capodarco riassume «il succo della discussione» a Palazzo Madama: «Non vi meravigliate della sceneggiata: siamo un po’ impauriti, ma anche un po’ furbi. Le nostre maestre vi accettano volentieri così da riempire le classi che, altrimenti scomparirebbero, come vi accettano le altre scuole e le Università. Siamo a corto di bambini e voi siete molto numerosi: alcuni vorrebbero lasciarvi a bagnomaria. Utili per mantenere giovane la popolazione, ma pur sempre mezzi cittadini». Da qui l’invito alla pazienza: «Voi che avete studiato la storia, sapete bene che gli antichi veneti provenivano dalla Paflagonia (nord della Turchia), gli antichi lombardi erano celti, i piemontesi sono stati invasi dai liguri e addirittura il popolo ligure sembra abbia avuto contatti con popolazioni africane. Celebri i normanni in Sicilia. Fino a ieri abbiamo abitato in piccoli villaggi dove nascevamo e morivano: accogliervi così numerosi impaurisce. Occorre tempo per abituarsi al villaggio globale». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico