Angelo, l'incubo è finito: lascia Rianimazione anche l'ultimo paziente. Ma i primari: «Tenete alta la guardia»

Angelo, l'incubo è finito: lascia Rianimazione anche l'ultimo paziente. Ma i primari: «Tenete alta la guardia»
FERMO - L’applauso, appena la barella arriva nel parcheggio delle ambulanze. Il viso pallido. Lo sguardo un po’ stordito di chi ha passato cento giorni in un letto...

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FERMO - L’applauso, appena la barella arriva nel parcheggio delle ambulanze. Il viso pallido. Lo sguardo un po’ stordito di chi ha passato cento giorni in un letto d’ospedale. Il mazzo di fiori per «gli angeli che meritano più fiducia». Giornata di festa, ieri, al Murri, dove è stato dimesso l’ultimo paziente Covid di Rianimazione.

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Si chiama Angelo, ha 62 anni ed è di Montegranaro. In ospedale ci è arrivato prima di Pasqua, coi segni iniziali della malattia: il fiato corto e la respirazione che si fa difficile. Ma niente che avrebbe fatto pensare a quello che sarebbe successo nei giorni a venire. Perché Angelo, prima del Covid, stava bene.


Il quadro clinico
«Nessuna patologia pregressa, giovane e magro», spiega la primaria di Rianimazione, Luisanna Cola, che, assieme al collega di Malattie infettive, Giorgio Amadio, ieri mattina l’ha saluto, prima del trasferimento nella Rsa di Campofilone per la riabilitazione. Ad aspettarlo, all’uscita dell’ospedale, c’erano la moglie e i due figli. Anche loro hanno avuto il Covid. La donna è entrata al Murri lo stesso giorno del marito e c’è rimasta per due settimane e mezza, a Malattie infettive. I ragazzi, che hanno 29 e 26 anni, se la sono cavata con un po’ di febbre e qualche dolore. Ma – raccontano – «ritrovarsi in casa da soli è stato difficile, soprattutto i primi giorni». Nessuno di loro era vaccinato. Perché, quando il Covid è entrato nelle loro vite, il vaccino potevano farlo solo alcune categorie di persone. Quando la sua salute è peggiorata, è stato Angelo a dire alla famiglia che, da Malattie infettive, sarebbe stato trasferito in Terapia intensiva, dov’è rimasto per tre mesi, una parte dei quali intubato. E dove, col passare del tempo, s’è negativizzato. Poi, pian piano le sue condizioni sono un po’ migliorate ed è stato portato in Terapia semintensiva, da dove ieri finalmente è uscito. «È dimagrito e ha ancora bisogno dell’ossigeno per respirare. Questa è una malattia che, purtroppo, lascia cicatrici», spiega Cola. Angelo ha la faccia provata. Fa un cenno con la mano verso la moglie e i figli. Le poche forze le usa per accennare un sorriso coperto dalla mascherina. Ora che il peggio è alle spalle, di questi cento giorni terribili resta il ricordo della «speranza avuta fin dall’inizio» e degli «angeli che non ci hanno mai lasciato soli», come la moglie di Angelo chiama i sanitari del Murri. Gli stessi che «si sono fatti sentire tutti i giorni al telefono».


L’assenso


E che, quando Angelo è diventato negativo al Covid, ha permesso alla famiglia di andare a trovarlo, «cosa molto importante perché questa malattia carica molto il sistema nervoso e, poter sentire i propri cari vicino, è di grande supporto», dice la primaria di Rianimazione. Che è critica sulle mascherine all’aperto non più obbligatorie. «Se noi operatori le portiamo sempre – spiega – è perché sappiamo che è l’unico modo per ridurre la circolazione del virus. La decisione di toglierle non ha senso». Spinge sulle vaccinazioni per i giovani, Cola, «per non ripetere a settembre, con la riapertura delle scuole, la tragedia degli ultimi due anni». «Non bisogna avere paura del vaccino. Aderire alla campagna vaccinale è un dovere civile e sociale», incalza. E sull’ipotesi di riaprire le discoteche, aggiunge: «Siamo l’evidenza che si può stare in una stanza chiusa senza far circolare il virus. Si può fare tutto, ma a patto di rispettare le regole e di vaccinarsi». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico