FERMO - Lui, lei, il figlio e le pistole. Una aspra querelle famigliare si è chiusa con sentenza di non luogo a procedere a carico di un uomo, finito davanti al tribunale...
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I rapporti tra padre e figlio si sono fatti sempre più tesi, fino a degenerare. Il figlio temeva che il nuovo amore del genitore potesse portare a disperdere i beni di famiglia, con conseguenze negative per quella che un giorno sarebbe stata la sua eredità. Le liti per questioni di denaro si sono fatte sempre più aspre, con tanto di minacce, fino al punto che il figlio ha deciso di querelare il padre, intimorito dalla presenza di due pistole detenute in casa.
Il querelante sosteneva di averle viste, considerati i crescenti scontri in famiglia, temeva per la propria incolumità, tanto da chiedere ai carabinieri di procedere al sequestro delle armi. I militari hanno proceduto alla perquisizione , ma delle pistole non è emersa traccia. Il reato, però, era procedibile d’ufficio. Il figlio si diceva turbato dalle parole del padre e aveva paura. Così il genitore è stato rinviato a giudizio. Nell’istruttoria dibattimentale, però, non sono mai emerse le pistole al centro del contendere. Di conseguenza, l’aggravante dell’uso delle armi è caduta ed il reato, da minaccia grave, è stato derubricato a minaccia semplice. «Essendo la minaccia un reato formale di pericolo, occorre la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma – commenta l’avvocato difensore dell’imputato, Massimiliano Capancioni – cioè il male prospettato dal soggetto agente deve incutere timore nel soggetto passivo menomandone la sfera della libertà morale. Un’ipotesi che la pubblica accusa non è riuscita a provare». Ecco quindi che il tribunale ha dichiarato di non doversi procedere. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico