Restrizioni Coronavirus, don Tony si inventa la Messa in strada

Porto sant'elpidio, restrizioni Coronavirus, don Tony si inventa la Messa in strada
PORTO SANT’ELPIDIO - Un prete temerario si reinventa la chiesa all’aperto, è don Tony Venturello, il parroco che non t’aspetti ma che piace. Quello con...

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PORTO SANT’ELPIDIO - Un prete temerario si reinventa la chiesa all’aperto, è don Tony Venturello, il parroco che non t’aspetti ma che piace. Quello con una marcia in più, che ripropone un modo tutto nuovo per riavvicinare le persone alla Fede. Non è cosa per pochi, vale per tutti, perché nel momento in cui c’era più bisogno, la Chiesa è stata costretta dalle norme sul Coronavirus a restare lontana, fisicamente, dai fedeli. Don Tony si è inventatao la messa in strada. Se ne sono svolte già 5 e tutte hanno avuto successo: al Borgonovo c’erano 60 persone, altrettante ce n’erano in via dei Mille


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L’assenza s’è sentita, non solo per chi ha dovuto seppellire i morti senza poterli avvicinare e tra pochi intimi, o per chi la domenica era abituato alla stretta di mano tra sconosciuti, al segno della croce con l’acqua santa. Tutti ne hanno risentito, anche quelli che non ci vanno a pregare la domenica. È stata tremenda quest’assenza il giorno di Pasqua, nella principale solennità del Cristianesimo una risurrezione che non c’è stata in un assolato 12 aprile vissuto tutti chiusi in casa.
 
Qualche parroco s’è spinto a consegnare di nascosto i rametti di ulivo e a suonare le campane ma la mancanza resta e pesa. Perché è un dato di fatto che la locuzione latina mens sana in corpore sano valga anche all’incontrario: corpo sano in mente sana. 
Un buon successo
A tutto questo avrà pensato il parroco della Santissima Annunziata quando s’è inventato la messa per strada. Se ne sono svolte già 5 e tutte hanno avuto successo: al Borgonovo c’erano 60 persone, altrettante ce n’erano in via dei Mille. Per le messe all’aperto è importante che una persona ne raggruppi altre, parli con il prete ed è fatta, semplice. Don Tony arriva ovunque nel territorio di competenza della sua parrocchia, piazza il banchetto, consacra le ostie e le distribuisce insieme alle immagini benedette di Maria che scioglie i nodi. Nella chiesa del centro, per rispettare il distanziamento, possono entrarci 200 persone ma se ne vedono molte di meno in questi giorni e così don Tony che s’inventa? Fa suo un detto che può riproporsi così: “Se la montagna non va da Gesù, Gesù va dalla montagna”. «Mi sono detto: esportiamo la messa, adesso è il momento, c’è l’urgenza. Dopo la Pentecoste ho avviato questo percorso ma non invento nulla, i miei predecessori, in altre forme, hanno fatto questo tante volte. La pandemia ci ha allontanato, dobbiamo tornare all’essenziale, nel rispetto dei parametri imposti ovviamente». Fino all’anno scorso il parroco del centro andava casa-casa a benedire, quest’anno non ha potuto farlo e se ne rammarica. Il lockdown ha chiuso la scuola e la chiesa, un disastro! Sono mancati gli insegnanti e i sacerdoti, vettori di umanità, intermediari ai quali affidare le anime. Le funzioni religiose sono state annientate, dai funerali alle messe. 
Il pontefice

Il Papa, in quell’immagine riprodotta dalle televisioni, da solo in piazza San Pietro, rappresenta il grande vuoto che s’è creato. «Togliere la fisicità, la relazione, equivale a togliere l’identità» dice don Tony, cosa lo muove? «Vedo che le persone faticano a rientrare in chiesa, hanno paura, ma la Fede va vissuta fisicamente, ha bisogno di segni visibili e non possiamo rinunciare al contatto umano. Il distanziamento è la cosa peggiore che potesse capitarci perché siamo fatti per il contatto. Quindi, se le persone non vengono in chiesa, la chiesa che si posta in strada. Il desiderio di comunità è forte, le persone vogliono riappropriarsi di un bene che è stato loro tolto, sono contente di partecipare, al punto che non me l’aspettavo neanch’io». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico