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MONTEGRANARO - In poco tempo, oltre 50 anni di storia sono andati in crisi. Spring (marchio Mario Bruni) è un altro storico calzaturificio del distretto fermano costretto a ricorrere al Tribunale. L’elenco delle imprese in difficoltà si allunga e la scarpa marchigiana non rischia più di perdere i pezzi, li sta davvero perdendo.
L’allarme sulle critiche condizioni in cui versa il distretto calzaturiero Fermano-Maceratese è scattato da tempo. Sono arrivate le agevolazioni previste dal riconoscimento dell’area di crisi complessa ma è arrivata anche la pandemia, la più recente delle sventure che il territorio è stato costretto a subire.
Il problema è che i benefici delle infrastrutture e degli investimenti agevolati dalla normativa arriveranno tra qualche anno mentre le aziende, oggi, devono pensare a come sopravvivere. E proprio per cercare di sopravvivere, il management del calzaturificio Spring srl unipersonale, lo scorso 21 settembre, ha presentato la domanda di concordato preventivo/ristrutturazione del debito. Richiesta che il Tribunale di Fermo ha accolto il 14 ottobre scorso. Contestualmente lo stesso Tribunale ha nominato Roberto Gennari commissario giudiziale e ha fissato al 20 novembre il termine «per il deposito della proposta di concordato preventivo, del piano e della documentazione o di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione». L’azienda veregrense affonda le sue radici nel 1956 quando venne costituito il calzaturificio F.lli Scheggia. Nel 1964 l’impresa assume il nome di Spring e nel 1982, dalla combinazione dei nomi dei titolari Bruno e Mario Scheggia, nasce il marchio Mario Bruni, diventato poi piuttosto conosciuto in Russia. L’azienda ha sempre avuto un ottimo trend che poi era cresciuto grazie al business con la Russia. Solo 4-5 anni fa il calzaturificio era arrivato a sviluppare un fatturato che sfiorava i 10 milioni di euro e dava lavoro a 90 dipendenti. Italia e Russia erano i mercati principali.
La produzione
L’azienda ha sempre prodotto internamente le proprie scarpe ed è stata spesso in prima linea nel denunciare la scarsa valorizzazione del made in Italy.
Corriere Adriatico