L'odissea Covid dell'ex sindaco: «Sette mesi tra la vita e la morte»

Montegiorgio, l'odissea Covid dell'ex sindaco: «Sette mesi tra la vita e la morte»
MONTEGIORGIO - La sua non è una storia semplice da raccontare, anche perché fa fatica a ricostruirla, essendo i suoi ricordi più indotti che propri,...

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MONTEGIORGIO - La sua non è una storia semplice da raccontare, anche perché fa fatica a ricostruirla, essendo i suoi ricordi più indotti che propri, ricomposti sui racconti degli altri.

È stato via da casa, su letti di ospedale per quasi 7 mesi, due dei quali incosciente, intubato in terapia intensiva. Ha rivisto casa e la famiglia giusto pochi giorni fa e, forse, si è reso conto di quanto gli fosse successo e di come l’intera comunità l’avesse vissuto, solo quando ha trovato ad attenderlo davanti casa tante persone che gli urlavano bentornato, gli facevano festa, lo salutavano commossi. 

 

La guarigione

Paolo Tartufoli, 75 anni di Montegiorgio, ex sindaco, ex funzionario della Carifermo, attuale governatore della Confraternita Misericordia, il gruppo di volontari dell’ambulanza, è fra i malati di Covid con il percorso di guarigione più lungo. «Avevo - racconta - una febbre leggera e disturbi generali da qualche giorno. Poi il tampone: positivo. Era il 21 marzo: l’ambulanza, il ricovero a Fermo. Ricordo solo il primo giorno. Non mi sono reso conto di stare tanto male. Qui i miei ricordi si interrompono. L’aggravarsi della mia situazione hanno indotto i medici a spostarmi in terapia intensiva ed intubarmi. Dicono che ci sono stato un paio di mesi di cui ho il buio totale. So che il 3 giugno mi ero negativizzato e da Fermo mi hanno trasportato ad Ascoli, nel reparto di pneumologia dove sono rimasto tutto il mese. Ero lucido ma facevo fatica a respirare. Unico collegamento con l’esterno e momento di compagnia erano le videochiamate con la mia famiglia. Il mio ponte con la vita. Di questo, e non solo, devo ringraziare le infermiere che mi aiutavano a farle, con grande umanità. Di mio ci ho messo tanto coraggio e forza per guarire, ma di certo mi sento di ringraziare tutte le strutture ospedaliere in cui sono stato e tutto il personale medico e paramedico. Piano piano ho cominciato a riacquistare qualche funzionalità. Grazie a una cannula che mi hanno inserito nella trachea ho ripreso a parlare. Con il tempo ho anche recuperato la capacità di usare il cellulare in autonomia. Cominciavo a rivedere un po’ di luce. Il 24 giugno sono stato trasferito dal Mazzoni alla clinica Villa San Giuseppe per la riabilitazione e qui sono rimasto fino alla dimissione. Un paio di giorni prima di essere dimesso mi avevano chiuso il buco alla trachea e sapendo che quella era la condizione essenziale per il mio ritorno a casa, ho capito che l’ora di andarmene dall’ospedale era finalmente arrivata. Non so descrivere il mio stato d’animo quando i dottori mi hanno comunicato che potevo tornare a casa, né quando il venerdì mattino sono venuti a riprendermi mia moglie, mia figlia, mio genero con l’auto guidata dal mio vice Cristiano Bei».

L’emozione

«Ma l’emozione più forte me l’ha procurata la grande accoglienza che mi hanno riservato i concittadini, i parenti, gli amici, I tanti sindaci dei comuni che non sono voluti mancare, i volontari della Confraternita che non mi hanno mai lasciato solo inviandomi video e incoraggiamenti». Ora Paolo continua la sua terapia riabilitativa a casa. I medici gli hanno detto che ci vorrà un annetto per tornare in piena forma.

 

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Corriere Adriatico