Il dattero di mare (ballaro) e una illegalità da fermare

Il dattero di mare (ballaro) e una illegalità da fermare
La nascita del Ministero della transizione ecologica e solidale indica la volontà di una svolta culturale nel Governo del Paese, che dovrebbe guidare le nostre azioni anche...

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La nascita del Ministero della transizione ecologica e solidale indica la volontà di una svolta culturale nel Governo del Paese, che dovrebbe guidare le nostre azioni anche a livello regionale e locale. Ma non funzionerà se non cambieremo anche la nostra mentalità. Il mio timore, che credo sia condiviso da molti, è che, appena possibile, torneremo a fare tutto come prima e peggio di prima. Mi riferisco in particolare al saccheggio dell’ambiente. I primi segnali non sono per nulla incoraggianti, basti pensare al caso, apparso pochi giorni fa su tutti i media nazionali, del disastro ambientale causato dalla pesca di frodo del dattero di mare nel Golfo di Napoli, proprio lungo i famosi faraglioni di Capri. Un’inchiesta della procura ha già portato 19 misure cautelari, con sei persone in carcere, sei ai domiciliari e tre divieti di dimora e così via. Ma si tratta solo della punta di un iceberg, perché la pesca illegale del dattero è in corso da molti anni e non si è fermata neanche durante il Covid. Pochi mesi fa lo raccontava anche la trasmissione della Rai, Report, che ha seguito le indagini che coinvolgono centinaia di complici che creano una catena di illegalità lungo tutta la costa sorrentina con la pesca del dattero. Questa pesca sta determinando un vero e proprio disastro ambientale. I pescatori di datteri, infatti, usano martelli classici o pneumatici per distruggere la roccia ed estrarne i preziosi datteri che vengono poi venduti a prezzi anche a 100 euro al chilo. Oltre 150 km delle coste del Salento sono state già rovinate da questo tipo di pesca con danni ambientali difficilmente calcolabili ma nell’ordine di centinaia di milioni di euro. La cosa però riguarda anche noi da vicino, perché la pesca del dattero avviene lungo le coste il Conero, dove è presente sia il classico dattero di mare Lithophaga lithophaga sia il dattero bianco Pholas dactylus, il cosiddetto ballaro. I datteri del Conero vengono prelevati con le stesse modalità distruttive viste altrove e probabile anche commercializzati. Potete verificarlo anche voi, scrivendo “Ristorante” + “Marche” + “Dattero” appaiono le recensioni fatte su TripAdvisor dove i clienti descrivono le loro mangiate di datteri sia crudi sia arrostiti con tanto di prezzi e i prestigiosi ristoranti marchigiani che li offrono. È quindi possibile che esista un traffico illegale anche nella nostra Regione. A beneficio dei lettori è bene ricordare che sia la vendita sia l’importazione e il consumo dei datteri di mare, sia dattero classico, sia ballaro, sono puniti dalla legge già dal 1996 e in tutta la EU dal 2006. Pochi giorni fa, alcuni studenti di diverse nazionalità della Laurea Magistrale in Biologia Marina dell’Università Politecnica delle Marche, durante delle esercitazioni a mare, hanno scoperto reti illegali attaccate alla costa del Conero. Gli studenti e i loro docenti hanno anche registrato le immagini della rete e dell’imbarcazione responsabile della pesca di frodo. La pesca illegale lungo le nostre coste è operata da troppo tempo ed è, di fatto, impunita da sempre. Tra pescatori che gettano reti a riva, che spaccano la roccia per i datteri, e le vongolare che, anche durante il Covid, sfiorano la costa, incuranti delle distanze minime previste per legge, al Conero l’illegalità è di casa. È triste dover fare questa costatazione, per un luogo tanto amato da tutti (a parole) ma poi vituperato nei fatti. E lo sa bene chi frequenta le nostre coste e assiste sconsolato e impotente per la mancanza di intervento delle autorità competenti. L’ho scritto più volte su questo giornale, sono oltre vent’anni che attendiamo l’area marina protetta del Conero, ma nessuno dei governi del territorio sembra volerla. Forse va bene a tutti così. Il Comune di Ancona ha dichiarato di non volerla più fare (prima invece la voleva), ma senza dare un perché ragionevole e rinunciando anche ai contributi messi a disposizione dal Ministero. Se avessimo un’area marina protetta queste cose non accadrebbero, perché avremmo del personale che vigilerebbe contro l’illegalità. Il Comune di Ancona ora sembrerebbe volere una zona di tutela biologica, ovvero una grande area (di solito 10 volte più grande dell’attuale sito di interesse comunitario, ora ZSC, già esistente) che il Ministero delle politiche agricole e forestali promuove per proteggere l’area dalla pesca. Qualunque cosa vogliano fare i governi del territorio, la facciano e si ponga fine a queste azioni illegali che danneggiano le coste del Conero causando una perdita di capitale naturale e di un bene comune.


*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto


nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

 

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Corriere Adriatico