La decisione di Lorenzo Fioramonti di dimettersi da Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, comunicata il giorno di Natale, ha suscitato...
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La discrepanza con gli altri paesi è evidente man mano che si sale di livello, dall’istruzione primaria alla secondaria, all’università e alla ricerca. Nella scuola primaria l’Italia investe l’1% del PIL contro una media OCSE dell’1,5%; nella secondaria l’1,8% contro il 2%; nell’università lo 0,9% contro una media dell’1,5%. Se consideriamo la dinamica, fatto 100 il livello della spesa per tutti i gradi di istruzione nel 2010 l’Italia era a 98 nel 2016 mentre la media OCSE era a 115. Solo due altri paesi, oltre l’Italia, hanno ridotto l’impegno nell’istruzione in questo periodo: la Grecia e il Portogallo.
Si dirà che nel nostro paese, così come in Grecia e Portogallo, la riduzione è stata indotta dalla grave situazione di crisi dell’ultimo decennio e dalla necessità di non peggiorare il già precario equilibrio dei conti pubblici. Spiegazione vera solo in parte poiché lo scarso impegno dell’Italia ad investire nell’istruzione ha radici lontane. Semplicemente, da decenni si è scelto di privilegiare altri ambiti della spesa pubblica, elettoralmente più remunerativi. La situazione, come noto, diventa disastrosa quando dalla spesa per istruzione si passa a considerare l’impegno, pubblico e privato, nella ricerca. Dal 2010 la spesa in ricerca e sviluppo ha oscillato nel nostro paese fra l’1,2% e l’1,4% del PIL contro una media OCSE del 2,4%; ma la Corea del Sud è al 4,5%, il Giappone al 3,2% e la Germania al 3%.
Il basso livello della spesa nella ricerca e nell’istruzione non sarebbe un problema se riuscissimo a dimostrare una produttività superiore alla media, così da ottenere risultati soddisfacenti malgrado il basso livello delle risorse utilizzate. Purtroppo, anche su questo fronte le notizie non sono confortanti. Siamo fra i paesi con la più bassa percentuale di giovani laureati e gli ultimi test PISA (Programme for International Student Assessement) dell’OCSE ci pongono sotto la media per il livello di preparazione dei quindicenni in alcune materie di base. Come ho già scritto in altre occasioni, la sottovalutazione per l’investimento in istruzione e ricerca da parte del nostro paese è incomprensibile se consideriamo il ruolo chiave assunto dal capitale umano e dall’innovazione nell’economia della conoscenza. E’ come se avessimo deliberatamente scelto la strada del declino nella competizione internazionale rinunciando ad investire nel principale fattore in grado di invertire questa tendenza.
Non so dire se le motivazioni delle dimissioni dell’ex Ministro siano sincere o strumentali; di certo sollevano un problema rilevante. Quello di cui sono certo è che la polemica politica su questa decisione sopravanzerà la discussione nel merito. Così come sono certo che difficilmente questa decisione determinerà un’inversione di tendenza in questo settore. L’augurio per il nuovo anno è di sbagliarmi nella previsione.
Donato Iacobucci
Docente di Economia
dell’Università Politecnica
delle Marche Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico