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Il termine “distanziamento” ormai è diventato la parola d’ordine più usata e importante di questo 2020 e sicuramente continuerà ad esserlo anche per il prossimo anno. Per non infettarsi, per proteggersi dal virus, per non morire bisogna mantenere le distanze e non avvicinarsi a nessuno. Quasi un mantra, che viene ripetuto innumerevoli volte per convincerci dell’efficacia di questo comportamento. Ho così ripensato alle tante altre distanze che, di fatto, sono molto presenti nell’esistenza di ogni individuo e che non sono causate da un virus biologico. Oltre al Covid ci sono altre tipologie di “batteri” altrettanto pericolosi e minacciosi, forse poco considerati lungo i secoli, con cui l’uomo ha imparato a convivere sottomettendosi ad essi.
Penso che la distanza più terribile, infatti, sia quella della mancanza di amore, di chi rifiuta il vero bene, l’affetto, il distacco operato da coloro che si abituano alla spietatezza, alla disumanità. Quante persone pur vivendo accanto, magari comunicando ogni giorno, in effetti sono lontane e indifferenti! Quante coppie di sposi, apparentemente vicine, in realtà si sopportano soltanto, evitandosi il più possibile; molte si tradiscono con una normalità sconcertante e con un’indifferenza devastante. Quanta distanza nei modi violenti di porsi o nei silenzi più aggressivi, capaci di generare abissi nelle relazioni sociali, in famiglia, nel lavoro e addirittura negli ambienti ricreativi.
E quanti ecclesiastici e laici mega-praticanti della fede hanno favolose capacità “predicatorie” ma poi sono incapaci di abbattere i dannosi muri dell’invidia e della diffidenza. La distanza del cuore non esclude nessuno e nella dimensione religiosa, dove la testimonianza è tutto, la “distanza di fatto” – e cioè la mancanza di un vero amore nelle relazioni – provoca grandi delusioni e scandali. Quando nella Chiesa i cattolici e le realtà associative si disprezzano tra loro, al proprio interno, possono diventare poi la causa di distanze incolmabili difficilmente riparabili. Ci sono responsabilità importanti che forse si preferiscono non comprendere restando separati, divisi e quindi senza confrontarsi né chiarirsi, perché concretamente non c’è la volontà di fare comunione. E così le coscienze si atrofizzano tramutandosi nella cruda e illusoria parvenza di una finta vita reale, evangelica ma ridotta ad un benessere artificiale.
In questo periodo, caratterizzato dalla mancanza di abbracci, dalle strette di mano negate e dai sorrisi non visibili, sono considerevolmente diminuiti anche i tanti gesti di facciata o quelli compiuti solo per salvare le apparenze. E le persone finte, amiche di convenienza, sparite con la scusa del virus forse hanno permesso di abbattere qualche ipocrisia di troppo… Chissà che il senso vero della giusta distanza come quello della vera comunione non ci aiuterà a ripartire davvero, curando il virus più letale della storia: la discriminazione dell’amore.
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
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