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Il concetto di “cambiamento climatico” è ormai entrato nel nostro vissuto quotidiano, e non passa giorno in cui non ci imbattiamo in queste due parole che raggruppano un grande numero di alterazioni del nostro caro (e unico) pianeta. Nonostante la sovraesposizione mediatica degli ultimi tempi, la confusione sull’argomento è quanto mai imbarazzante, soprattutto in virtù della necessità di azioni rapide e condivise con cui sarebbe importante rispondere ad un problema causato dalla rapida industrializzazione a livello globale. Sebbene ad oggi il dibattito pubblico sull’argomento sia estremamente polarizzato, i report della comunità scientifica mondiale (vd. IPCC) sono solidamente concordi nell’imputare la causa dei cambiamenti climatici all’aumento di anidride carbonica in atmosfera. Dalla rivoluzione industriale, la costante immissione in atmosfera di quantità via via crescenti di anidride carbonica ha fatto si che i livelli del principale gas climalterante abbiano raggiunto una soglia mai toccata negli ultimi 14 milioni di anni del nostro pianeta. Si, avete letto bene, quattordici milioni di anni.
Ma se è vero che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, come ama ripetere chi propende per il negazionismo delle responsabilità antropiche, è bene ricordare che quello che sta facendo la differenza in questo processo è la rapidità con cui queste mutazioni stanno avvenendo, rendendo difficile ai sistemi naturali e alle comunità di adattarsi alle nuove condizioni. Purtroppo, fino a quando l’anidride carbonica in atmosfera continuerà ad aumentare, la quantità di calore intrappolato in atmosfera aumenterà di conseguenza, e così la temperatura media atmosferica globale, innescando una moltitudine di processi a cascata. Alcune narrazioni ci hanno abituati a pensare che il mostro del cambiamento climatico si manifesterà all’improvviso, da un giorno all’altro, quando sarà certamente troppo tardi e molti di noi non saranno più su questo pianeta.
Tuttavia, l’attuale cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti noi: infatti, uno dei principali sintomi della grave patologia di cui soffre il nostro pianeta è l’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi, e la triste cronaca recente ne è testimone.
Inoltre, questi periodi di temperatura elevata, da un lato impediscono il rimescolamento delle masse d’acqua e portano a fenomeni di ipossia, cioè carenza di ossigeno, dall’altro favoriscono le fioriture di alghe, incluse quelle potenzialmente tossiche. In ultimo, le marine heatwaves, potrebbero anche esacerbare la progressione del cambiamento climatico, andando ad impattare l’integrità di ecosistemi chiave per il ciclo del carbonio, di fatto rompendo il meccanismo tampone offerto dagli oceani in grado di assimilare l’anidride carbonica dall’atmosfera e rallentare il riscaldamento globale. Tutto questo, ha logiche conseguenze anche per le attività antropiche che dipendo dal mare, come la pesca e l’acquacoltura, ma anche ovviamente il turismo. Le marine heatwaves rappresentano una minaccia crescente per gli oceani e il nostro pianeta. Comprendere e affrontare questo fenomeno richiede una risposta globale e coordinata, riducendo le emissioni di gas serra, proteggendo gli ecosistemi marini e promuovendo pratiche di sostenibilità. Solo attraverso sforzi congiunti possiamo sperare di preservare l’enorme e fondamentale biodiversità marina e mitigare gli impatti per gli oceani e per le comunità da essi dipendenti.
*Referente progetto Univpm Sostenibile
Docente Dipartimento
di Scienze della Vita
e dell’Ambiente
Corriere Adriatico