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In un commento apparso su questo giornale martedì 17 agosto, affrontavamo il tema della rischiosa contrapposizione tra “sì vax” e “no vax” che le violenze romane e l’atmosfera di estrema incomunicabilità sociale in cui ci troviamo richiamano quasi alla lettera. I tumulti di piazza e le scene di violenza cui abbiamo assistito rinviano spesso alla questione della permanenza di elementi e di vincoli comunitari all’interno dell’imprinting sociale operato dalla differenziazione funzionale. Nella società complessa l’elemento comunitario non scompare, ma è chiamato a giocare un ruolo residuale e di supplenza relativamente al livello di conformizzazione dell’individuo alle esigenze dei dispositivi “dispotici” che lo governano. Se riflettiamo su alcune determinanti contro-intuitive della realtà sociale contemporanea (disagio a-sintomatico, normopatia, analfabetismo di scolarizzati, disumanizzazione, ripartizione emozionale, idolatria degli oggetti, spettacolarizzazione del dolore e della morte, ecc.), dovremmo rassegnarci al “terribile già occorso” del nostro tempo, ma nell’incapacità di osservarlo, si preferisce agitare spettri del passato, fantocci concettuali inutilizzabili, ormai una cosa sola con le ragnatele dei loro sacelli. Le truci “Pasquinate” che mettono a soqquadro le piazze romane in realtà attestano la costruzione di un nuovo dispositivo indisciplinare che utilizza pseudo-libertà (politiche e non) di sfogo della più bassa istintualità per far funzionare meglio la macchina a cui tutti noi siamo socializzati/conformizzati, nella quale si determinano “effetti di coincidenza”, strategie funzionali a far si che le trasgressioni – anche quelle più violente – siano contenute all’interno di un perimetro che non mette affatto in discussione la cornice di riferimento. In tal senso, la ricostituzione dei vincoli comunitari può determinare un desiderio di sovranità di sé e di auto-determinazione che si salda al netto rifiuto di tutto ciò che è altro dall’io e dal suo orizzonte espressivo. Le identità reversibili, sciolte, quelle che poi debbono trovare un elemento fortemente coesivo in motivi occasionali (centrati sostanzialmente sulla dualità noi/loro), quelle “identità palinsensto” – come le definiva Z. Bauman – che si fondano sullo smontaggio e rimontaggio di parti separate e giustapposte, assemblabili episodicamente in un bricolage assai improbabile, si nutrono pur sempre di idee dell’uomo e materiali biografici predisposti, trovando elementi coesivi nel rifiuto di ciò che è altro da me (immigrati, clandestini, femminile, socialmente funzionale, ecc.), facendo sembrare improvvisati paladini dell’ego sovrano mattatori protagonisti di forme di fortunata ricusazione dei presupposti sociali dell’agire e dell’esperire. Per il sociologo Zigmunt Bauman - come per molti altri osservatori – nella società del cittadino/consumatore, l’identità è una merce e noi siamo costantemente avviluppati in un meccanismo di mercificazione e scambio di noi stessi con l’esterno sociale. Produciamo la nostra identità come merce da mostrare e scambiare come in un reality show, così come sovraesponiamo la nostra identità nella camera magmatica ultrà, oppure nelle vertigini iperboliche della militanza ideologizzata. Spesso si tratta di esibizioni espressione della neo-tribalità (per eccesso di trasparenza) che riguardano indistintamente la passione sportiva, l’estasi narcisistica spettacolarizzata o la militanza ideologizzata che sostituendo l’autentica padronanza del sé - ridotto a mosaico delle contingenze - vengono in qualche modo normalizzate.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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Corriere Adriatico