Una settimana ancora di pazienza, poi sarà Corto Dorico edizione numero 16. E i cinefili anconetani staranno già preparandosi al temporaneo cambio di residenza...
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Fra coloro che hanno selezionato i 13 film che vedrete – su 44 sopravvissuti alla preselezione che il lotto degli iscritti aveva sfoltito brutalmente –, fra i membri del Comitato Artistico c’ero anch’io. Discutere, s’è discusso parecchio. Come puntualmente accade fra cinefili. Non la finiremmo mai di duellare attorno a un film. Non solo e non tanto per convincere l’interlocutore della validità delle nostre idee ma per approfondirle, per precisarle a noi stessi. Spesso, le dispute cinefile così terminano: ciascuno sa molto meglio di prima perché la pensa in modo radicalmente opposto all’altro. Alcuni film ci hanno letteralmente fatto godere, alcuni film ci hanno ugualmente messo d’accordo, ma non nel senso auspicato dai loro artefici. Il cinefilo è sensibile, e certe visioni lo gettano in un momentaneo ma profondo sconforto. Oggi sono contento di aver visto i corti belli e quelli che vi abbiamo risparmiato. Tutti insieme formano un quadro attendibile del nostro cinema giovane. Attendibile, ché se qualcuno ha un cortometraggio pronto a Corto Dorico lo manda, il festival s’è costruito una solida reputazione. Illustriamolo un po’ questo quadro. Il neorealismo, o come chiamar lo si voglia, va sempre forte. C’è chi pesca nella cronaca (casi dei bambini dimenticati in auto), chi imbastisce una storia attorno a un tema dibattuto (l’omofobia, per esempio), chi attorno a tematiche che quasi mai rientrano nel discorso pubblico (la sessualità dei disabili). Mi sarei aspettato più film sui migranti. Abbiamo visto storie di italiani in difficoltà economiche e storie in cui echeggiavano le rivendicazioni delle donne. I nostri giovani cineasti amano dunque e praticano l’impegno civile, non sempre schivando il rischio di ridurre il film a Veicolo di Messaggio («Se volete inviare un Messaggio, andate all’uffico postale e dettate un telegramma», saggiamente suggeriva Louis B. Mayer). Praticano poco la commedia, e chi la tenta non cerca comunque di suscitare la grassa risata. (La commedia in Italia è un problema serio, quasi nessuno la sa più fare). Solo una sparuta minoranza è attratta dalla sperimentazione linguistica. Diversi fra i corti esaminati sarebbero stati assai migliori se più corti ancora. Tagliare può essere doloroso - quell’inquadratura ti è costata tanta fatica ed è riuscita anche bene - ma a volte è indispensabile. Di vari registi, inclusi alcuni i cui film abbiamo bocciato, mi sono appuntato il nome. Le sceneggiature mi hanno soddisfatto meno: troppi spiegoni (ma il pubblico non è stupido, e non va bene trattarlo da stupido) e troppo “italiano da film italiano” e cioè smorto, mentre nella realtà si parla vivacissimo: le frasi interrotte a metà, le costruzioni sghembe, le voci che si accavallano. Al Corto Slam sono stati ammessi due film marchigiani. A conferma del fermento che da qualche anno si sta manifestando nella nostra regione. Nuovi talenti artistici, e anche realtà produttive. Crescano bene.
*Opinionista e critico cinematografico
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Corriere Adriatico